giovedì 22 dicembre 2011

NON PERDETE TEMPO

Non perdete tempo/a leggere i miseri deliri/di un'anima libera/che ha scelto la
Solitudine/come condizione d'esistenza/trovando ingiusto/condannar chiunque/alla propria compagnia/saggio è che non perde tempo/dietro a queste mie sciocche inutili parole/ma si dedica ad attività più fruttuose e a persone più meritevoli di attenzioni

ESTREMO DESIDERIO

Non v'è in me alcun estremo desiderio/se non quello/di non esister più/diventare immateriale creatura/esser dimenticata/esistenza solitaria condurre/uno scritto e niente altro/senza vanità/che non s'addice a chi non ha talenti e merita solo la non esistenza/

lunedì 19 dicembre 2011

«CALORE NATALIZIO!»

La puerile musichetta natalizia rimbombò, spandendosi per le vie del centro cittadino. Proveniva, con stampo un po' metallico, dagli altoparlanti della filodiffusione, i cui fili correvano lungo i muri degli edifici storici ed antichi di quella parte della città. Era stata un'idea dei commercianti, forse nella speranza di intontire le persone quel tanto che bastava per trasformarle in zombies spendaccioni. Antoinette, Magda e Amethyst si guardarono con un cenno di disgusto dipinto sui volti arrossati dalla temperatura semi artica. "Anche questo no", piagnucolò Magda lasciando cadere la testa incappucciata sulla spalla di Antoinette. "Le luci, quell'orrendo albero addobbato non bastavano? Anche le canzoncine ci costringono ad ascoltare questi sadici?" ribatté la ragazza dalla cuffia rossa mentre Amethyst fumava imperterrita la sua sigaretta arrotolata immaginando di dare fuoco a tutto.
«Sarebbe divertente prendere tutta questa gente e bruciarla, restando a guardarla mentre si contorce e fugge come galline decapitate», disse poi la ragazza. Le altre due la guardarono stranite, certo la loro amica era sempre stata un po' strana ma non se ne era mai uscita con frasi del genere. Un conto era lamentarsi di quella gioiosa atmosfera, un conto era minacciare una strage. «Sarebbe divertente, molto», ripetè e si incamminò lungo la via, evitando con abili mosse il contatto con il maggior numero di persone possibili. Magda ed Antoinette si guardarono. 
Amethyst si allontanò dalle sue due amiche e si fermò quando fu ben sicura che nessuna delle due fosse abbastanza vicina. Non che avesse importanza, loro erano diverse ma fino ad un certo punto. La folla si spingeva e si urtava nella spasmodica ricerca di qualche strenna dell'ultimo minuto. Follia e orrore, raccapriccio e disgusto. Sapore di sangue in bocca, ecco cosa provava Amethyst in quel momento. Fuoco e fiamme. Ecco cosa ci voleva per ripulire un po' quelle strade. In terra mozziconi di sigaretta, cartacce varie (per lo più scontrini che acquirenti ben poco educati avevano gettato con noncuranza), brandelli di ignota provenienza. Sogghignò, cattiva. Si appoggiò ad un muro e si accese un'altra sigaretta, ne fumò metà e con precisione la gettò in mezzo alla folla. La cicca prese in pieno una signora impellicciata. Il fuoco divampò subito, ardente e purificatore!
Restò ad osservare compiaciuta il fuoco che si propagava di persona in persona, finché nelle strette viuzze non vi furono altro che corpi che bruciavano, urlavano. A nulla valse l'intervento dei vigili del fuoco. Il budello era troppo stretto perché l'autopompa potesse passare e le manichette non erano abbastanza lunghe. Dal suo angolo la ragazza sghignazzava, folle e compiaciuta. 
Continuò a ridere anche quando la polizia la portò via, affidandola al locale centro per la cura mentale. Pazientemente un medico grassoccio e dalla faccia rassicurante le parlò per qualche ora, chiedendole infine perché l'aveva fatto.
Amethyst, sorridendo, rispose tranquillamente «Volevo solo dare loro un po' di autentico calore natalizio».

venerdì 9 dicembre 2011

LA NON PACE DELL'ANIMA

Ciò che voglio non è la pace dell'anima/la guerra/la violenza/lo sturm und drang/cantato dagli antichi poetici romantici/Non voglio dolci parole/sussurrate all'orecchio/non voglio le parole di un innamorato/desidero il fuoco di un amante/l'ardore di un diavolo/are you brave enough?/do you dare?/

giovedì 8 dicembre 2011

ALBA NOTTURNA

Scende la luce e da grigio nero il cielo diventa/lampioni spandono la loro calda gialla artificiale luce/dall'asfalto si alza lieve la bruma/e/infine sei avvolta dal tiepido abbraccio della notte

SILENZI E URLA

E cosa ci resta? Dei nostri silenzi?/sussurrati l'un l'altro/delle nostre urla?/gridate silenziosamente/Avevamo diritti/ora ci restano solo doveri imposti/Le parole ci son state strappate dalle gole sanguinanti/ridotte a brandelli dalle spade del potere/Dove sono ora le nostre grida di proteste?/rattrappite nelle galere della legge/che ci ha regalato solo la possibilità di restare in silenzio

TRUTH

La verità è che non posso piú mentire,

La verità è che non posso più celarmi,

La verità è che non voglio più nascondermi,

Non me ne frega niente di te, Mondo,

La verità è questa

Sono quella che sono,

Se non ti vado bene, accomodati,

La verità è che tornerai a cercarmi,

Perché tutto torna, in un modo o in un altro

La verità è che questa volta sarò pronta

Mi rialzerò dalla tomba, una volta di più

La verità è questa!

PALE

Pallore innaturale di quel volto

rifratto nello specchio rotto di una vita sbagliata

Fiamme ardenti di quegli occhi pozze dell'inferno

Rapita dalla vita alla morte o viceversa?

Pallida mi aggiro su questa terra ostile

Ascosta di giorno e anima irrequieta di notte

Cangiante Primavera Inverno Estate Autunno

Pensiero Libertà Nostalgia

Passato che non torni

Futuro che ti adombri

Resto sospesa, Pallida innaturale imago, a guardare lo scorrere del tempo

STEEL BLADE

Lama d'acciaio argenteo la falce di luna

Dai tetti scruto la città che si preparava al riposo, miseri ignari

Notturno, intorno a me si dipana l'odore intenso del sangue mortale

Mi inebrio di quel sottile

IMPURAMENTE TUA

Rivestita solamente della Lussuria che tu mi hai donato
e che indosso fieramente con un pregiato abito
a te mi avvicino nell'estremo attimo prima dell'estasi
quando tutto si ferma e si cristallizza
resto
Impuramente Tua, per sempre al Tuo fianco

SONO

Sono la Morte, fedele compagna ai tuoi incubi/Sono la Sposa in Nero, pallida imago di un tempo che fu/Sono la Nera Signora senza pietà, che la sua lama calerà sul tuo collo/Sono la tua amante di seta vestita, sospirata anima persa/Sono/Solo questo Sono

mercoledì 7 dicembre 2011

C'ERA LA MUSICA

C'era la musica/ed era bello/riempiva l'anima e quel che restava del cuore/
C'era la musica/ora è sopita/dispersa nei venti/nel nulla del mondo/
Mi abbandonò/come facesti tu/quando mi dicesti/che ciò che era non era più/
E insieme al tuo ricordo/hai portato via la musica

ROTTURA

Ci son momenti/in cui tutto crolla/si disfa/sfaldandosi in nuvole di polvere e di cenere.
E son quegli avvenimenti/che ti fan poi reagire/che spezzano equilibri squilibrati/che ti costringono a guardarti dentro e a prender decisioni/
La rottura è inevitabile/non sempre da intendere negativamente.
La rottura in alcuni casi è la linfa dell'esistenza!

NON È IL MONDO DELLE FAVOLE

Non è il mondo delle favole/che ti piaceva da bambina/Nessun principe alla fine della storia/E a vincere di solito son i cattivi/gioendo del loro successo davanti a te che impotente/poi si domandano perché sei come sei

martedì 6 dicembre 2011

CONSAPEVOLEZZE

Il coraggio non mi manca, il tempismo decisamente/la consapevolezza di esser mancante di molte qualità/mi ha reso più forte/ma poco serve/se la realtà intorno si ostina a volermi spezzare

MISUNDERSTANDING

I was so afraid to say something wrong/and lose you/ that I left you go/cause thought/it was your wish: but it had been a big misunderstanding!
Now I regret myself every day and try to win you back...how can I do this if you look so happy without me?
It would be a bigger misunderstanding

CHE COSA É L'AMORE???

Che cosa é l'amore?
Dolce perdizione di due anime affini
Forse?
Che ne so io che cosa é l'amore!
Chiedetelo a chi l'ha conosciuto, lo conosce
Chi sono io per dirlo?
Che cosa é l'amore?
Sospiri e parole sussurrate oppure urla concitate e guazzabuglio di sensazioni
Non ne sono del tutto certa.
Amore, parolina che significhi tutto e niente ... Concetto talmente soggettivo da essere ormai indefinibile.
Alle volte mi sembri solo una forma sbiadita dell'odio

lunedì 5 dicembre 2011

«GLI ELFI DI BABBO NATALE»

La sveglia suonò nel buio del primo piano dell'orfanotrofio, gestito da qualche anno dalla signora Erika Svesson, una vedova di origine lappone e molto conosciuta in quella parte del paese. Nell'unica camerata rimasta cominciarono a sentirsi i tipici rumori dei bambini che si svegliano: fuori dalle finestre la lunga notte polare brillava in tutta la sua glaciale oscurità di milioni di stelline.
Con un tonfo secco la porta si aprì ed un fievole fascio di luce, proveniente da un moccolo di candela, penetrò appena nel buio pesto. "Avanti! Muovetevi!!", digrignò la voce fredda ed arcigna della direttrice, che subito dopo se ne andò sbattendo l'uscio.
A coppie i bimbi, ormai ben desti ed infreddoliti, uscirono dai giacigli. A piedi scalzi e saltellando per il gelo si incamminarono verso il bagno: velocemente si lavarono i visetti serici ed arrossati dal freddo intenso quindi tornarono nello stanzone e si vestirono. Gli abiti erano vecchi e rappezzati, ma in modo tale da non sembrarlo, come pure gli scarponcini.
Silenziosamente uscirono dal dormitorio e, nell'oscurità appena rischiarata dalle stelle, camminarono lungo il corridoio. Appoggiando le manine al muro percorsero i pochi metri che li separavano dallo scalone. Scesero e raggiunsero il refettorio, si sedettero ai lunghi tavoli di legno grezzo e, dopo aver recitato una specie di preghiera di ringraziamento per i loro benefattori, bevvero - nel più assoluto silenzio - la tiepida minestra di cavolo, che veniva servita loro tre volte al dì. Era una brodaglia densa e scolorita, dall'acre odore di rancido e i più grandicelli - che dovevano aiutare in cucina ogni giorno - sapeva che era preparata con i torsoli dei cavoli avanzati dalle ricche famiglie del vicinato e rivenduti per pochi soldi alla loro cuoca, che si spartiva la differenza con la signora Svesson.
Fuori il paesaggio era imbiancato da una morbida coltre di neve. Era il venti dicembre, mancava meno di una settimana a natale. Anche se per i sessanta bambini era una data del calendario che ben poco senso aveva.
Stavano finendo di bere quando la direttrice, avvolta in un mantello di argentea pelliccia folta e profumata, entrò. "Avanti! É ora di muoversi, piccole pesti! E non osate disubbidire!".
Impauriti e già sfiniti dal freddo e dalla fame i giovanissimi ospiti della struttura di accoglienza per bambini rimasti senza genitori, che superavano a stento i dieci anni i più grandi e arrivavano a malapena ai 4 i più piccoli, si alzarono e, senza proferire parola, si misero in fila alle spalle della donna. Uscirono dal refettorio e raggiunsero l'ingresso, dove ebbero appena il tempo di indossare i vecchi cappottini, poi uscirono.
A piedi, faticosamente perché affondavano nello spesso strato nevoso fino quasi alla cintola, percorsero il chilometro e mezzo che separava il brefotrofio dal laboratorio di giocattoli, dove lavoravano per guadagnare i soldi per il loro mantenimento.
Come ogni mattina furono accolti dal proprietario della piccola fabbrica artigianale. Si trattava di un rubicondo uomo anziano, sempre vestito di uno sgargiante rosso. Fin dal primo giorno in cui erano stati assunti aveva voluto farsi chiamare Babbo Natale, sebbene il suo nome fosse Nicolas.
"Benvenuti miei piccoli elfi laboriosi", disse sfregandosi le grasse mani, mentre i suoi occhietti porcini e cattivi brillavano. Li accompagnò nel laboratorio: una stanza di legno chiaro dove troneggiavano i macchinari di intaglio, i tavoli per la rifinitura ed altri attrezzi strani. "Al lavoro elfi", ripeté chiudendosi la porta alle spalle ed accompagnando la signora Erika nel salotto, riscaldato da un allegro fuoco, e dove si sarebbero ingozzati di dolci e cioccolata calda.
I bimbi si infilarono i grembiuli e si misero ai loro posti, mettendosi al lavoro. Avevano ordine di completare un intero vagone, ovvero circa 500 pezzi, di orsacchiotti ed altri animali di pezza.
"Ma da quanto siamo qui?", chiese ad un certo punto Bebe, una ragazzina così bionda da sembrare imbiancata prematuramente, che presto sarebbe diventata una donna ed sapeva già il suo destino quale sarebbe stato una volta mandata via dalla casa di "Mama" Svesson. "Almeno quattro ore", bofonchiò in risposta Marten, che aveva un debole per Bebe. "Io ho fame", disse a quel punto la piccola Lika, scendendo dallo sgabello ed avvicinandosi a Bebe, allungando le braccine per esser presa in braccio. "Torna a posto", sibilò Marten ma proprio in quel momento la porta si aprì e Babbo Natale, seguito dalla direttrice, fece il suo ingresso. Immediatamente il suo viso giocoso e bonario si rabbuiò. "Piccoli scansafatiche! É così che lavorate? Ricordatevi che tratterrò un centesimo dalle vostre paghe per ogni animale di pezza non pronto. Tra quattro giorni dovrò partire per consegnarli ai bambini buoni del mondo, bambini con genitori, che possono pagare soldi veri per i regali di Babbo Natale". Rise volgarmente e poi si avvicinò a Bebe, strappò Lika dalle sue braccia e la bimba scoppiò in lacrime. Bebe fece per riprenderla ma, con una manata, il vecchio industriale la colpì facendola cadere. Marten osservava la scena seduto sullo sgabello davanti al tavolo, sentiva la rabbia esplodergli in corpo.
Senza quasi rendersene conto sollevò un martello dal piano di lavoro e scattò in avanti, lo scaricò con tutta la forza della sua disperazione addosso a Babbo Natale. L'omone cadde, picchiando il sederone grasso e la testa. Il ragazzino colpì e colpì, ancora e ancora. Sentiva i lamenti dell'uomo, le sue implorazioni a smettere, le sue promesse fasulle di aumenti di soldi e meno ore di lavoro.
Improvvisamente anche gli altri si unirono a lui, lasciando appena il tempo a Bebe di recuperare Lika. Alcuni bimbi si avventarono anche su "Mama" Erika, colpendola ripetutamente con i piccoli utensili di legno e metallo. La carneficina durò poche ore e infine gli "elfi" si ritirarono, lasciando i corpi martoriati e sanguinanti ad agonizzare in terra.
In silenzio fecero cadere gli attrezzi ed uscirono, prima di abbandonare il laboratorio Bebe prese l'orsetto più bello e con il fiocco più grande e lo diede a Lika stringendosela al petto. Si recarono nel grande salotto, dove il fuoco ancora riscaldava l'ambiente rendendolo confortevole. Si rifocillarono con i deliziosi biscotti avanzati e con la cioccolata calda. "Adesso riposiamoci qui al caldo - disse Bebe accomodandosi vicino a Marten e a Lika -. Domani ci preoccuperemo di quei due. Non gli permetteremo di trattarci in quel brutto modo".

MOONLIGHT - two

//Hank bevve quasi d'un fiato la birra, sentendo il calore causato dall'alcool invadergli le membra ed ottenebrargli la mente: non aveva mai avuto propensione a reggere quel genere di bevande. Pensieri morenti si azzuffarono nel suo cervello, il clangore di spade antiche una contro l'altra in una eterna lotta, ordini biascicati in una lingua scomparsa da qualche millennio, un tradimento. Con un sospiro si accasciò sul tavolo e pianse//.
//il tizio con la cresta scosse la testa: non di nuovo. Si alzò e con il suo passo dinoccolato si avvicinò alla barista. L'espressione seria contrastava completamente con il suo aspetto. "Perdonatemi madonna ma non avreste un fazzoletto o qualcosa di simile per il mio amico...". La barista si volse a fissate l'uomo in nero accasciato sul tavolo a singhiozzare come un bambino. Per la prima volts lo guardò bene: doveva essere alto oltre la media, anche da quella strana posizione poteva notare il fisico asciutto e allenato. "Si ve lo porto subito", disse lasciando quello che stava facendo//.
//La ragazza prese una scatola di fazzolettini di carta e li portò al giovane uomo che ancora singhiozzava, la testa appoggiata al tavolo, le braccia lungo il corpo. Mormorava strane parole in una lingua sconosciuta. Appoggiò il contenitore di cartone sul ripiano in legno e si inginocchiò di fianco a lui e prese un fazzoletto porgendoglielo. "Ecco, questo può esserti utile", sorrise e quello la guardò con occhi del colore della luce: chiari e brillanti anche nella penombra del bar. Non si era accorta che fossero così lucenti prima, le erano sembrati neri. "grazie splendida dama", rispose lui prendendolo e asciugandosi gli occhi. "È un effetto collaterale di questa bevanda", afferrò la bottiglia vuota agitandola. "Perdo ogni controllo e ricordi sopiti mi ritornano in mente. Grazie ancora, la vostra è un'anima gentile". Lei lo fissò con stupore, nessuno le aveva mai detto niente di simile//.
//Sorrise imbarazzata. "Grazie". "Seriamente, non è solo un complimento", rincarò la dose. "Dal luogo dove veniamo io e Bil definiamo così le persone come te. Anime gentili, che non vuol dire buone. Non è facile da spiegare... E poi sei la prima che incontro dopo un migliaio di anni a questa parte". Seduto ad un altro tavolo Bil desiderava solo scomparire//.

MOONLIGHT - one

//"Allora volete ordinare qualcosa da bere?". Una seconda voce femminile si intromise, seguita dall'apparizione di una ragazza bionda, abbigliata in modo molto provocante ed appariscente. Il ragazzo dalla cresta rossa rimase a fissare le tette della sconosciuta compresse in un top azzurro con le frange dorate, che sobbalzavano piano mentre lei si avvicinava. "cosa vi porto, ragazzi? Una birra, whisky, gin?". Si incollò al bacino dell'Uomo in Nero e questo istintivamente si ritrasse e lanciò uno sguardo alla fanciulla dietro al bancone. "Smettila Aryana, o farai scappare anche questi due clienti", disse infine mettendo due birre sul banco. "Gryleen, come sei noiosa", ma si spostò andandosene sculettando, offesa//.
//L'uomo in Nero restò sgomento, comparsa in quella scena dal sapore stantio. Il suo amico già si era avvicinato al bancone ed aveva preso la birra. Ora la stava sorseggiando avidamente sorridendo e lanciando occhiate lubriche in direzione di quella specie di coniglietta di Playboy. "Peggio di un adolescente in preda alle crisi ormonali", pensò mentre decideva che una birra avrebbe migliorato quella situazione improbabile//.
//«Lasciati andare Ur...Hank, beviti una birra. Abbiamo tutto il tempo di questo fottuto mondo», disse improvvisamente il crestato facendo trasecolare il suo amico, che trattenne a stento una sfilza di improperi. «Stai zitto Bil!», gli intimò l'Uomo in Nero raggiungendo a sua volta il bar e afferrando la bottiglia di vetro. Sotto gli occhi di rugiada della barista, rise tra sé, pensando che il suo animo da poeta mal s'accordava con il resto della sua dannata natura. «Grazie, bellezza», le fece un cenno di assenso buttando sul bancone non proprio lucido una banconota. «Per il disturbo». Lei la prese e la infilò nella cassa, aperta, senza rendere niente al tizio. «Grazie», bofonchiò e lo ignorò. Il locale era di un vuoto quasi soffocante: tavoli spaiati sparsi in giro senza ordine, sedie e sgabelli sparpagliati intorno, un juke-box che sembrava in disuso almeno da trent'anni e un vago odore dolciastro. «Odore di morte», pensò Hank. «Mi piace questo posto», disse poi a voce alta e il suo cervello registrò gli sguardi stupiti delle due ragazze//.
//«Mi ricorda un luogo che frequentavo un po' di tempo fa», disse cercando una spiegazione che fosse plausibile alla sua precedente affermazione ma le due già erano tornate ad altre attività e a quel punto abbandonò il bancone dirigendosi al juke-box: le canzoni risalivano ad almeno trent'anni prima. Lasciò perdere e si sedette ad un tavolo, raggiunto subito dopo dal suo amico, già in preda all'euforia alcolica. Bil non aveva mai retto l'alcool fin dal primo drink che si era scolato un tempo immemorabile fa. «Allora U..Hank...Hank. Posticino delizioso eh!», rise il ragazzo della cresta cremisi. «Delizioso? Come no! Quanto la cancrena!», sbottò quello che era stato chiamato Hank appoggiando la birra sul tavolo e lasciando scivolare le lunghe gambe inguainate nei pantaloni di pelle sotto il tavolo. Quell'altro lo imitò, attendeva che il suo amico gli dicesse quello che gli stava passando per il cervello: doveva avere già una certa idea. «Mi domando se tutto questo buio sia naturale oppure no», disse infine Hank.//

MOONLIGHT - zero

//E la notte prese il sopravvento sulla città, inghiottendone i grattacieli e le casette dei quartieri di periferia, le catapecchie dei poveri e le ville di chi con lo sfruttamento di quella che era stata definita la "classe lavoratrice" ci si era arricchito. Il buio fagocitò vicoli e vie, viali e parchi. La sola luce rimasta sembrava essere quella del "Moonlight Pub", una specie di locale situato nel seminterrato di un edificio diroccato, che ancora sorgeva al limitare ovest della Città.//
//Il silenzio fu repentino quanto l'oscurità: voci e suoni si spensero man mano che la luce veniva sopita da quell'inaspettato scuro. Per molte ore, che si susseguirono immobili una dietro l'altra, la Città sembrava essere diventata un deserto. Nemmeno il vento ebbe il coraggio di soffiare, spazzando via quell'improvvisa e strana immobilità. Che fu squarciata poi dal tossire di una macchina. L'auto, alquanto scassata, emerse dal nulla ad abbaglianti accesi, fendette quella pece fermandosi in mezzo alla strada, emettendo una sorta di respiro per nulla rassicurante. Dal cofano evaporò una lenta scia di fumo candido e fu di nuovo silenzio e tetra oscurità.//
//Dal semi cadavere di lamiera scese imprecando un individuo tutto vestito di nero. Si confondeva perfettamente con il paesaggio intorno. «Ma dove siamo per Satana e i demoni dell'Inferno nero?!!!», sbottò rivolgendosi allo strano tipo dalla cresta rossa che gli si era affiancato. Quello gli lanciò un'occhiata stralunata. «Sei tu quello che diceva di sapere la strada ... Non mi sembra che siamo dove dovremmo essere ...». Si guardarono intorno, silenzio, buio, nemmeno il proverbiale cane in giro. «E questo catorcio ci ha anche piantato in asso», aggiunse il crestato tirando un calcio alla macchina, che emise un gemito e si spense del tutto. L'altro gli tirò a sua volta un calcio, seguito da un pugno. «Il solito idiota»//
//L'Uomo in Nero prese l'amico per una spalla. - Andiamo! C'è troppo silenzio qui intorno. -. L'altro non provò neppure ad opporre resistenza, e poi non era ancora il momento di liberare la vera natura del suo amico//
//Seguirono il debole bagliore dell'insegna e restarono ad osservare con non poco stupore il cascante edificio che l'ospitava. Si guardarono poi l'Uomo in Nero fece cenno al crestato di scendere le scale, quello ubbidì senza troppa convinzione. Intorno regnava ancora la più totale oscurità e il più profondo e assoluto silenzio: era una scena irreale. Prima di scomparire all'interno del locale l'Uomo in Nero si concesse un sorriso perdendosi in quel paradiso nero e i suoi denti baluginarono per un secondo nel buio//.
//la luce intensa e fosforescente ferì gli occhi dei due improvvisati avventori, che si ritrassero istintivamente come due vampiri davanti ad un paletto di frassino. - fastidio! - biascicò quello con la cresta cremisi mentre l'amico teneva un braccio sollevato a proteggere gli occhi. - Ma per i dannati dello Stige, dove siamo capitati? - chiese quello con i capelli dritti in testa...non fu il suo migliore amico e compare di tante scorribande a rispondere ma la ragazza appoggiata al bancone del bar. - Moonlight Pub, il più vomitevole posto di questa insulsa città... Almeno finché i tre piani sopra di noi reggono, poi diventerà cenere//.

LACRIME DI SANGUE

Lacrime di sangue/ho lasciato cadere/pesanti gocce di pioggia rossa/a cancellare ciò che è/ciò che è stato/ciò che non sarà/ho lasciato che esse/fossero la mia fonte di rinascita

CIÒ CHE TU MI HAI DATO

Il tuo amore è stato la tomba del mio/le tue parole/la frusta sulla mia anima/i tuoi gesti/una vendetta quotidiana al mio essere/mi amavi per chi ero/ma volevi cambiarmi ad ogni costo/ma la tua è sempre stata solamente ipocrisia

IL TEMPO

Il tempo ci regalerà momenti unici/il tempo ci porterà felicità ed angustie/toccherà a noi rendere indimenticabile ogni istante