martedì 31 gennaio 2012

MY MUSIC CORNER - 00 - WHAT IF (Emilie Autumn)

This is one of my favorite songs ...



EMILIE AUTUMN - WHAT IF


Here you sit on your high-backed chair/wonder how the view is from there
I wouldn't know 'cause I like to sit/upon the floor, yeah upon the floor
If you like we could play a game/let's pretend that we are the same
But you will have to look much closer/than you do, closer than you do
And I'm far too tired to stay here anymore/and I don't care what you think anyway
'Cause I think you were wrong about me/yeah what if you were, what if you were
And what if I'm a snowstomr burning/what if I'm a world unturning
What if I'm an ocean, far to shallow, much too deep/what if I'm the kindest demon
Something you may not believe in/what if I'm siren singing gentleman to sleep
I know you've got it figure out/tell me what I am all about
And I just might learn a thing or two
Hundred about you, maybe about you
I'm the end of your telescope/I don't change just to suit your vision
ìCause I am bound bu a fraying rope/around my hands, tien around my hands
And you close your eyes when I say I'm breaking free/and put your hands over both your ears
Because you cannot stand to believe I'm not
The perfect girl you thought/well wha have I got to lose
And what if I'm a weeping willow/laughing tears upon my pillo
What if I'm a socialite who whants to be alone/What if I'm toothless leopard
What if I'm a sheepless shepherd/What if I'm an angel without wings to take me home
You don't know me
Never will, never wil/I'm outside your picture fram
And the glass is breaking now/you can't see me
Never will, never will
If you've never gonna see
What if I'm a crowded desert/too much pain with a little pleasure
What if I'm the nicest place you never want to go/what if I don't know who I am
Will that keep us both from trying/to find out and when you have
Be sure to let me know
What if I'm a snowstorm burning/what if I'm a world unturning
What if I'm an ocean, far too shallow, much too deep/what if I'm the kindest demon
Something you may not believe in
What if I'm a siren singing gentlemen to sleep
Sleep
Sleep


Una canzone che in molti aspetti mi rappresenta molto...


Hpe you like it

sabato 28 gennaio 2012

ARE YOU A DREAM OR A NEW HOPE?

Are you a dream? or are you a new hope?
I do not know
I am not sure
I am here to live this
Past is past, it'll never come back. I do not want it come back.
Sorrow no more, happiness just behind that corner
Are you a dream? or a new hope?
I do not know the answer, just do not want to wake up now...

lunedì 23 gennaio 2012

DI NOTTE

Di notte non ho mai paura/non son spaventata/inquieta/di quella sana inquietudine che ti porta a cercare/curiosando nel mondo e nella storia/ perdendoti in nuove conoscenze e scoprendo qualche pezzettino in più di te/Di notte/brillano gli occhi di oro liquido/di vivacità e spensieratezza/come se il sole non mandasse via la luna e le stelle continuassero a far da lumicino a me, viandante della vita e della fortuna/forsennata e disperata/alla ricerca di un segreto non ancora rivelato/per stupirmi prima di addormentarmi nuovamente tra le tue braccia/

sabato 14 gennaio 2012

NOI DUE

Il bello dell'inverno è che il buio arriva presto e puoi assistere a quel repentino cambio di luce e colori unico nel suo genere. E uno spettacolo bellissimo, dapprima il sole diventa arancione poi le tante si sfuma in tonalità pastello mentre declina dietro quelle montagne, trasformate in semplici profili neri zigzaganti. A quel punto è il momento più bello, il cielo diventa diafano, di un azzurro trasparente appena accennato, come una tela vergine su cui il pittore non ha ancora spennellato. Mille colori di un arcobaleno disciolto si irradiano e sfumano nel blue notte. Sorge allora la luna e i piccoli diamanti celesti incastonano il velluto nero sopra la mia testa.
Che spettacolo!!! Ma come goderselo in mezzo a questo traffico??? Saremo sei milioni di macchine minimo e faccio un millimetro ogni dieci minuti! La lancetta dell'orologio attira la mia attenzione costante ma non è che questo cambi la situazione. Solo che voglio arrivare, il navi mi dice che mancano pochissimi metri! Mi sto innervosendo e la cosa mi infastidisce, non voglio essere infastidita. Il mood è un altro, dolce, perversa un po' depravata se si vuole, sopra le righe e fuori dai canoni. Penso, un piccolo flash del passato: mani, bocche, gambe e altre parti del corpo. Qualcosa di molto erotico e molto eccitante. Istintivamente mi sistemo sul sedile, vorrei essere già là, pochi metri e ...finalmente!!!!
Che delizioso angoletto!, penso attraversando il passaggio fino a dove sono attesa: non faccio nemmeno in tempo a bussare che la porta si apre e sono accolta in quel piccolo nido che in sostanza non ha confini. È un bolla. Per due ore o più niente altro esisterà, mi sento molto un eroina da romanzo pulp o forse più la protagonista di una canzone. Ma non è questo cui penso adesso, adesso è ben altro quello che mi gira in testa.
Ti salterei addosso subito ma facciamo con calma, sweetie, riprendiamo i fili, ricuciamo e...la tua bocca mi attrae e i baci mi lasciano senza fiato. Che sensazione eccitante le tue mani su di me, mi fai venire i brividi e ecciti la mia voglia di scoprirti ma ti lascio giocare...verrà il mio turno.
Mi spogli di quei pochi indumenti che ancora ho indosso e resti lì a fissarmi famelico. Un nuovo balletto delle nostre lingue danno il via al valzer dei corpi. L'aria è satura della nostra eccitazione e non possiamo più trattenerci: infili una mano tra le mie gambe stuzzicando il clitoride, che si inturgidisce e si schiude al tuo tocco come una rosa. La mia mano stringe la tua carne pulsante e la muovo mentre sento sotto le dita e il palmo il tuo sangue scorrere.
È un gioco diabolico che ci porta in un mare solo nostro, senza limiti se non la nostra voglia di scoprirci.
Uno sguardo malizioso ti lancio prima di prenderti in bocca e cominciare a succhiarti piano, la pelle liscia e turgida, aspirando il tuo odore di uomo. Voglio sentirti esplodere nella mia bocca ma mi fermi.è solo l'inizio.
Mi fai sdraiare e troneggi sopra di me, sistemandoti tra le mie cosce aperte, pronta per te. Scivoli, e mi mordo le labbra per non urlare, piacere. Cominci a muoverti con ritmo cadenzato e ritmico.
Ondate di sensazioni forti si spandono intorno a noi, singulti e gemiti si confondono nelle nostre voci.
Mi fai voltare e lentamente sei accolto nell'altro prezioso scrigno, mmmm deliziosa sensazione mentre ti muovi e le tue dita mi esplorano.
Pompi la tua mascolinità fino all'apice finale e infine ti riversi, sudato, sulla schiena...

NON POSSO

Resto nell'ombra, confusa nel buio, non mi mostro o lascio trasparir sentimenti, se non tra righe e parole. Non posso dirti ti amo
Non posso far altro che guardarti e sperare. Dire o fare sarebbe una forzatura, stare solo a guardare è ciò che meglio mi riesce

venerdì 13 gennaio 2012

OPHELIA

Ciò che resta di Ophelia è solo la scintilla della sua essenza, imprigionata al sicuro entro un piccolo solitario diamante nero/Protetta da un guscio impenetrabile, riposa e lenisce le sue ennesime ferite, inferte violente da chi chiamava "amore"/Chi mai, così coraggioso, tornerà a volerla far risplendere/Rimettendo insieme i microscopici pezzettini di luce oscura/o per il resto dei secoli a venire sarà lasciata in questa forma/per l'egoismo di chi la può ammirare, superficialmente, come un semplice gioiello?

domenica 8 gennaio 2012

HOW I MISS YOU

E continui a mancarmi
Tante cose avrei da dirti
Ma sei lontano e non riesci a sentirmi
Mi manchi che non respiro
Come vorrei tornare a quei momenti che ora sembrano quasi irreali e lontani nel tempo e nello spazio
Dammi un segno che mi faccia capire che niente è perduto e dalle macerie si può ricostruire

BLOOD TASTE

Il rintocco del campanile
Mi desta dal mio dormire
Un colpo secco, il coperchio della bara a terra
Mi ergo dal velluto come la rosa di una serra
Nel sudario avvolta, di oscurità rivestita
Mi aggiro per la città sopita
Ecco la mia preda diletta
Mi avvicino come una saetta
Silenziosa come un felino
Al misero mortale mi faccio più vicino
Basta un secondo, un'istante improvviso
E allo stato di morto passa da quello di vivo
Mi gusto sulla bocca e in gola
Del prezioso fluido la densa consistenza
Che ogni notte rinnova la mia stessa esistenza

HALLOWEEN FRIGHT NIGHT


HALLOWEEN FRIGHT NIGHT!

«Sun goes down, behind those dark hills. Moon shines in the starred dark sky. Dead People is ndering in the streets. Rise the night, just after sunset. Beware who might you meet».

Jeremy emise uno sbuffo: essere malato ad Halloween. Non poteva esserci sfortuna peggiore, per lo meno se anche voi foste stati un bambino di dieci anni. Guardò fuori dalla finestra, notando come il giorno avesse ormai lasciato il posto alla sera, quindi al divertimento. Da dieci giorni ormai era inchiodato a letto, a causa di una brutta influenza e sperava di essere sulla via della guarigione ma il medico, passato poche ore prima per un controllo, era stato perentorio: impensabile uscire per fare il giro del vicinato bussando di porta in porta invocando «dolcetto o scherzetto».
«Ti rifarai il prossimo anno, caro», gli aveva detto la mamma passandogli amorevolmente una mano sulla fronte, sentendola scottare. Di contro Jeremy aveva sbuffato e poi fatto gli occhi dolci, aveva implorato, inveito. Senza successo.
Sua madre voleva ignorare il fatto che lui si stava perdendo quell'evento e che, nei giorni seguenti, sarebbe stato escluso da tutti i racconti - interessantissimi - su quella sera.
Tossì, emettendo un rumore cavernoso e rauco, sentendo un dolore acuto raschiare la cavità della gola. Sua madre, senza scomporsi, gli preparò lo sciroppo e glielo porse quindi gli infilò sotto l'ascella il termometro. Jeremy rabbrividì al contatto del vetro freddo con la pelle accaldata dalla febbre. Dopo un tempo che gli sembrò interminabile poté passarlo alla genitrice che ne lesse il risultato: 39. Quelle due cifrette al ragazzino suonarono al pari di una sentenza di morte e la notizia lo spossò ancor più di quello che già non fosse per la malattia.
«Cerca di riposare», gli disse la mamma uscendo, Jeremy riuscì a malapena ad annuire, sprofondando sotto il piumone, al caldo.
La donna scesa al piano inferiore e si sedette sul divano, riprendendo la lettura, interrotta dall'arrivo del medico. L'orologio a cucù, ereditato da una vecchia zia, rintoccò le sei. Il campanello gli fece eco pochi secondi dopo. Stupefatta la donna andò alla porta, era un fatto strano dato che i bambini arrivavano sempre sul tardi essendo la casa una delle ultime della via.
«Buonasera ragazzi», disse al gruppetto di amici di suo figlio che le si presentarono davanti: ognuno di loro indossava un costume ma dietro le maschere i visetti avevano espressioni decisamente imbarazzate. Jillian si aspettava la frase di rito ma al contrario quelli balbettarono qualche parola, farfugliando. Alla fine fu Sarah, una ragazzina magra travestita da gatto con tanto di orecchie e coda, a prendere la parola. «Scusi il disturbo, siamo passati a salutare Jeremy. Possiamo vederlo?».
La donna la fissò poi spostò lo sguardo indagatore sugli altri, infine su un punto imprecisato in cima alle scale: suo figlio stava riposando ma non se la sentiva di negare quell'incontro. «Andiamo, ma fare piano. Forse Jeremy sta dormendo. Aveva ancora la febbre alta quando gliel'ho provata poco fa».
Li precedette, fino alla camera di Jeremy e bussò: «Caro? Ci sono i tuoi amici, sono passati a trovarti...Sei sveglio?» Dall'interno nessuna risposta e sul viso dei bimbi la donna scorse un'espressione di delusione. «Sono davvero dispiaciuta...Venite di sotto, vi do qualche dolcetto». 
A ciascuno diede una bella manciata di caramelle e cioccolatini, magra consolazione per loro che speravano di salutare il loro amico. Li riaccompagnò all'ingresso e li osservò mentre si allontanavano nel crepuscolo: la loro meta era la casa della signora Evernine. Jillia si domandò se non dovesse indirizzarli altrove: fin da quando lei una bambina, le era stato insegnato che quell'abitazione andava evitata durante il giro di Halloween dato che sulla donna che vi viveva erano sempre circolate numerose strane storie. Alla fine sorrise di sé, i ragazzini di ora non credevano alle vecchie superstizioni.
Rabbrividì e chiuse la porta, dal piano di sopra non proveniva alcun suono: Jeremy doveva essersi addormentato. Sperò che quella brutta influenza passasse in fretta e senza complicazioni. Stringendosi lo scialle intorno alle spalle andò in cucina e si preparò una tisana quindi si mise a sua volta sotto le coperte concentrandosi sullo zapping ma la stanchezza prese il sopravvento e dopo pochi minuti si appisolò. Fu a causa della spossatezza che l'aveva avvolta, il rilassamento per il tepore del letto o semplice distrazione che il suo cervello non registrò che i bambini che si erano lasciati alle spalle la sua casa priva di decorazioni non erano cinque ma sei e di questi uno aveva avuto il colpo di genio di vestirsi da malato, con tanto di pigiama e vestaglia.
«Almeno potevi ricordarti di metterti le ciabatte», Kevin apostrofò Jeremy fissandogli le calze di spugna, la cui parte inferiore era ora diventata grigia scura. Senza dubbio ora della fine della serata sarebbe stata nera. L'amico stava per rispondergli a tono ma invece gli uscì un secco colpo di tosse. «Forse non è stata una grande idea, J», commentò Sarah guardandolo e mettendogli una mano sulla fronte, nello stesso modo di sua madre. Jeremy si ritrasse, avevano la stessa età ma alle volte lei se ne usciva con frasi da adulta. Jeremy spallucciò e Robbie diede voce ai pensieri di tutti. «Sarah non potevamo permettersi che si perdesse il giro di Halloween. Non sarebbe stato lo stesso, lo sai bene anche tu»...Evan ed Harry gli fecero eco emettendo un ululato.
Sarah alzò le braccia in segno di resa. «Avete ragione, però faremo un giro più corto in modo che ritorni prima di cena e sua madre non riesca ad accorgersi che è uscito». Il tono di adulta fu accolto da un coro di «booo».
Il gruppetto si fermò, erano arrivati davanti alla veranda della signora Evernine. Robbie si spostò, ghignando, e si inchinò a Sarah «Prima le signore». Gli altri pappagallarono la frase e la bambina, sentendosi punta nell'orgoglio, si mosse verso i gradini ripetendosi che si trattava solo di una vecchia signora eccentrica.
Bussò, una, due, tre volte e fece un cenno ai suoi compagni di avvicinarsi. Si ritrovarono di fronte all'uscio serrato, in attesa.
Infine la porta cigolò, si aprì uno spiraglio e un viso rugoso comparve nello spazio. Sul naso adunco erano poggiati un paio di occhiali dalla sottile montatura dorata. Sarah singhiozzò per lo stupore ed emise un versetto, che nelle sue intenzioni doveva essere un saluto, cui fece seguire un sorriso.
L'anziana li fissò con curiosità e solo dopo un certo tempo realizzò la ragione per cui si trovavano sulla sua proprietà e perché l'avessero disturbata.
«Mi dispiace miei cari» - parlava piano, strascicando le parole - «Non ho niente da darvi. É tanto tempo che non celebro questa serata. Se foste bambini saggi lo fareste anche voi, è tardi e dovreste essere a letto da un pezzo a sognare gli angioletti, invece di andare in giro per le strade dopo il tramonto. Non si sa mai chi si può incontrare...». 
E chiuse la porta senza aggiungere altro.


Mestamente i sei se ne andarono, ogni traccia di divertimento era scomparsa ma nonostante tutto riuscirono a mettere insieme un discreto bottino e decisero che era meglio accompagnare a casa Jeremy.
Fu allora che si accorsero di essere soli in strada e che tutte le case erano buie, come se fossero disabitate. «Ma cosa è successo? Dove siamo finiti?», chiese Jeremy guardandosi intorno senza riconoscere nulla di quel luogo freddo e oscuro.
Scorsero un gruppetto di ragazzi, che se ne stavano seduti in cerchio nei pressi di un'abitazione abbandonata e si passavano una bottiglia, bevendo a turno e ridendo sguaiatamente. Guidati da Kevin li raggiunsero e notarono che, pur essendo di poco più grandi di loro, erano completamente ubriachi. Evan si fece avanti e domandò se sapevano dove fossero e se conoscevano un modo per raggiungere la via...quasi venne loro un colpo quando uno di quelli rispose che erano proprio dove volevano andare e indicò una casa oscura e priva di abitanti.
«Il bambino che viveva là insieme ad alcuni suoi amici sono scomparsi qualche anno fa, in una notta di Halloween. La madre è impazzita e hanno dovuto rinchiuderla in qualche manicomio, le altre famiglie non hanno resistito e se ne sono andati quando è stato chiaro che non sarebbero stati ritrovati vivi. Adesso qui ci siamo solo noi». Sarah strinse gli occhi e urlò «Bugiardo! Non è vero! Noi non siamo scomparsi!! Siamo qui, non vedi? Ci stai parlando!! Non siamo scomparsi!! Abbiamo appena finito il nostro giro, come tutti gli anni. Non è come dici tu, non è come dici tu, non è come dici tu».
Un altro, dai denti marci, rise. «Invece è andata esattamente come ha detto lui». Indicò un foglio rovinato dalle intemperie, i loro nomi si intravedevano ancora e una parte dell'accorato appello dei loro genitori.
«Limbo, Inferno, nulla: decidi tu quello che è ma qui siete e qui resterete. La vostra è stata una morte violenta e dato che questa era la zona dove vivevate e dove si è consumata la vostra fine, qui siete confinati. Io mi sono schiantato contro quell'albero e anche i miei amici hanno avuto una sorte simile. Ad Ognissanti ci è permesso tornare qui e festeggiare...Abituatevi. Funziona così, per il resto del tempo sarete solo spiriti inquieti confinati nel silenzio delle dimore dove abitavate da vivi». Rise e prese un lungo sorso dalla bottiglia.


Era la vigilia di Ognissanti, il quartiere si stava riprendendo dalla morte dei sei bambini: l'assassino non era stato ritrovato e le speranze erano ormai ridotte al lumicino. Il crepuscolo si era già trasformato in notte e la signora Evernine posò il vecchio libro di cucina, ereditato da sua madre, e lanciò un'occhiata all'orologio appoggiato sopra il camino: era ora di pensare alla cena. Faticosamente si alzò dalla poltrona e si diresse in cucina.
«Stasera mi andrebbe della cervella impanata, accompagnata da del delizioso purée. Ormai i miei denti non sono più quelli di una volta», si disse l'anziana mentre dal grande frezeer, che occupava la parete in fondo alla stanza, estraeva un grosso sacchetto, dalla forma di una palla. Portò il suo carico fino al piano di lavoro e cominciò ad aprirlo, rivelando al suo interno una testa umana. Sulla sommità del capo spuntavano delle strane orecchie da gatto di finta pelliccia.
Riservò alla testolina un'occhiata comprensiva e da un cassetto recuperò gli strumenti adatti per aprire il cranio.
«Mia piccola cara, ve l'avevo detto che non si sa mai chi si possa incontrare la notte di Halloween. Devo ammettere che non è stato un male che vi siate presentati alla mia porta...siete dei buoni bambini».
Rise, da sola, nella grande cucina portando alla bocca e succhiandolo come un ghiacciolo un pezzo del cervello di Sarah, quasi undici anni e fino a due anni prima residente in quella via di periferia.


SORELLE MORTE

1) La porta cigolando si aprì, lasciando trapelare un lampo di luce, poi il buio riprese il controllo sull'ambiente. La stanza circolare era immersa in una totale oscurità, eccezione fatta per un cono di luce al centro di essa. L'uomo incatenato, la testa riversa sul petto, respirava a fatica mentre quella luminosità purissima lo avvolgeva.
La dama, abbigliata di pesante broccato verde, mosse qualche passo avvolta nelle tenebre. Osservava la figura maschile privata di ogni forza e di ogni volontà. Stirò le labbra esangui in un sorriso cattivo e soddisfatto. Intorno agli angoli delle labbra si irraggiò una rete di rughe, la sua giovinezza era passata da un pezzo.
Sollevò le mani scheletriche e pallide muovendole. Il prigioniero si inarcò, come sotto la sferza della frusta. Una, due, cinque, dieci, trenta volte! Finché la schiena fu ridotta a sanguinolenti brandelli di pelle.
Con espressione compiaciuta la donna uscì, sommessamente le giunsero i lamenti dell'uomo mentre si allontanava lungo il corridoio. Il prigioniero sentiva il sole bruciargli le ferite e la pelle viva, provò a sollevare il capo ma una fitta lo percorse mozzandogli il fiato.
2) Lasciata la stanza dove il condannato era ospitato, la dama in verde ritornò indietro, percorrendo il disimpegno, lungo e silenzioso. Entrò quindi in una grande sala, appena illuminata da fiaccole appese alle pareti di pietra nuda e grezza e dalla luce che riverberava dal camino imponente. Occupava l'intera parete, contrapposto alle enormi finestre, che offrivano il panorama del cortile, dietro le spesse tende. In quel momento solo uno spiraglio di luce bianca e pallida filtrava dal sipario tirato.
Ad una ventina di passi dal camino troneggiava un tavolo di legno scuro laccato e finemente intarsiato. Le gambe riproducevano le effigi di demoni dalle fauci spalancate in zannuti ghigni sardonici. Intorno alla tavola erano sedute quattro donne di differente età e sembiante. Ognuna era impegnata in un'attività tipicamente femminile. Colei che aveva l'aspetto più giovane si trastullava con quella che poteva essere una marionetta ed emetteva, di tanto in tanto, squittii divertiti che interrompevano quel silenzio familiare.
La donna matura prese posto a sua volta ed afferrò poi un libro di poesie, aprendolo alla pagina segnata da un pregiato segnalibro in pelle cremisi.
Declamò a voce alta alcuni verdi quindi tacque, pensierosa. Il giorno non era nemmeno a metà del suo corso e il loro lavoro era appena cominciato.
Nel silenzio una seconda donna, la cui bellezza cominciava appena a sfiorire, si alzò. Il suo abito di raso bordeaux frusciò mentre si incamminava lentamente verso la porta di legno e metallo.
Lanciando alle quattro sorelle un sorriso crudele abbandonò il salone, percorse a sua volta il tetro corridoio giungendo all'ingresso della sala circolare.
Vi entrò e lanciò una lunga indagatrice occhiata al prigioniero, lasciandosi andare ad un sommesso ridacchiare.
Restando nell'ombra cominciò a camminare, compiendo il giro in pochi minuti. Accompagnò la sua passeggiatina da un monologo appena sussurrato. Ad ogni parola che le usciva dalle labbra dipinte l'uomo in ceppi si contorceva in preda a spasmi che esplodevano nelle sue viscere, facendolo guaire per il peggiore dolore che avesse mai provato nella sua esistenza.
Da quella seconda visita uscì più morto che vivo. Con le ultime forze si chiede cosa l'attendesse in seguito e tremò. Nonostante il sole a picco gli bruciasse la carne.
3) La seconda donna non fece quasi in tempo a rientrare nella grande sala, da cui ora proveniva un'allegra melodia e si potevano udire le parole di una canzone, che per poco non si scontrò con la terza sorella. Le due più giovani cantavano accompagnate al violino dalla maggiore mentre l'altra, una sensuale creatura dai fluenti capelli rossi e con indosso un abito cremisi, che lasciava scoperte le spalle e metteva in risalto la sua pelle nivea, rideva e danzava oscenamente. Si fermò per un momento quando la seconda fu riapparsa, fece una riverenza affrettata ed infilò la porta immergendosi nell'oscurità del passaggio.
Canticchiava allegramente quando fece il suo ingresso nella stanza dal lucernario. Il condannato, udendola, emise un gemito che voleva essere un apprezzamento.
La ragazza sorrise e le perle candide dei suoi denti piccoli e regolari brillarono nel buio. Si passò le mani tra i riccioli sistemandoli sulle spalle. Abbassò ancora le spalle dell'abito mettendo in mostra spalle e scollatura. Passò, infine, alla gonna sistemandosela intorno ai fianchi.
A quel punto entrò nella luce, senza smettere di canticchiare sommessamente. In pochi passi fu di fronte al prigioniero e gli prese il viso tra le mani sollevandolo verso il suo, stampandogli un bacio sulle labbra. Egli assaporò quel dolce effimero sapore. Lo rimpianse nell'istante stesso in cui lei si staccò. Una tortura! Rincuorato comunque da quel comportamento decisamente amichevole alzò lo sguardo annebbiato verso di lei e bastò una sola occhiata agli occhi verdi che si sentì sprofondare in un orrore indescrivibile. Gli attanagliò la mente e le membra, mentre quell'infernale creatura gli danzava attorno ridendo indecentemente e sollevandosi impudicamente l'abito.
L'uomo aveva voglia di urlare, implorare perdono ma non riusciva ad articolare un suono. Improvvisamente tutto tornò quieto, lui sospirò la sua frustrazione. Era sopravvissuto, sull'orlo della follia, ma era sopravvissuto non sapeva come a quella tortura. Aveva appena formulato quella considerazione che l'orrida sensazione prese nuovamente il sopravvento, lasciandolo senza fiato, forze e in grado di esprimere un pensiero coerente. Infine svenne.
Ridendo di fronte allo scempio che aveva fatto del condannato la giovane lasciò la stanza. Si divertiva sempre così tanto. E questo faceva imbestialire le sue sorelle maggiori, che le invidiavano bellezza e gioventù piuttosto che il compito che le era stato assegnato. Sapeva bene anche che entrambe non approvavano i sistemi che adottava per portarlo a compimento. Ma non le importava.
4) Il silenzio regnava nuovamente nella sala del camino, quando ella vi ritornò. Senza produrre rumore si sedette al duo posto, davanti al ritratto di un giovane uomo in catene trafitto da pugnali e che piangeva lacrime di sangue.
"Il giorno s'avvia al suo termine - disse con la sua voce argentina -. Bambine è il vostro turno".
Le due ragazzine, un'adolescente dai serici capelli biondi con indosso un abito azzurro come i suoi allegri occhi e una fanciulla che da poco aveva varcato la soglia dell'età adulta, si alzarono e, prendendosi per mano, lasciarono la stanza dopo aver fatto la riverenza. La loro meta era la medesima delle tre che le avevano precedute.
Entrarono ridacchiando e sussurrandosi parole di incoraggiamento. Notarono che il cono di luce era ora di un intenso rosso e arancione, i colori del tramonto. E si era ristretto di molto, presto sarebbe stato inghiottito dal buio.
Si sorrisero e si avvicinarono, senza lasciare la stretta delle mani.
Ancora prostrato dal precedente incontro l'incatenato sobbalzò al loro appressarsi. I muscoli si ribellarono e di nuovo fu scosso da tremiti. Si sentiva devastato nel corpo e nell'animo quando intravide i sorrisi delle due e percepì un senso di sollievo.
Le due lo abbracciarono dolcemente, una lo carezzava in viso sussurrandogli parole di conforto che avevano la capacità di lenire le sevizie subite dalla sua anima corrotta. L'altra sanava, in modo analogo, quelle del corpo martoriato.
All'unisono recitarono "Per Grazia e Pietà raggiungi l'aldilà e trova alfine pace e tranquillità". Il corpo si scosse ancora una volta e restò immoto, abbandonato dal soffio vitale.
La sala piombò nell'oscurità e le ragazzine tornarono dalle sorelle, ridendo.
5) Avevano appena lasciato la sala e cinque uomini emersero dalla pece della notte, liberarono il corpo esanime e portarono via il cadavere. Nel mentre una rozza carrozza, proveniente dal tribunale a valle, percorreva l'ultimo tratto dell'accidentata strada che raggiungeva il maniero delle Sorelle Morte.
Crudeltà, alla finestra, osservò i tremolanti lumini in lontananza e proruppe in una terribile fredda risata. "Sorelle care, avremo un nuovo ospite, domani".

FOR YOU, WHOM I LOVE

I open my dark heart to You, Who I Love
Flown away my thoughts and fought my sense, shaped into my sensitivity. To find out all the Truth!
Can you see? Or are your eyes deeply closed?
Nothing I will say from now, Nothing I will do: just watching You, Who I Love ...
This is, because I Love you and no need any demonstration, just believe!
There are more words I can write, a full world inside my mind and heart, but these will be said only when you can hear, till that moment, not a word will be spoken by me ...
We lived a heavenly Hell on Earth
Remember this ...
Love has more than one shape, more than one name, more than one aspect: It's made from the same substance of wishes and desires ... imagine it, as you like, and it will be ... In the same way it disappears without a trace, just a little hurting memory in your soul, between mind and heart ...
Never forget this ...
This is for you, Who I Love

sabato 7 gennaio 2012

MY NATURE

Sono una che non si arrende, combatto per me e per coloro che amo. Non mi perdo in sciocche diatribe ma perseguo la mia vita con perseveranza e obiettività. Luna, sorella mia, dammi ogni notte la forza di essere vigile e attenta, sempre!
La mia natura è questa.

martedì 3 gennaio 2012

CYAN

CYAN
La ragazza si stiracchiò urtando con un polso quello che sembrava essere un bordo metallico e sentendo la fastidiosa sensazione di qualcosa che le segava la pelle dei polsi. Sbadigliò mentre allungava prima la gamba destra poi la sinistra sentendo che il torpore del sonno lasciava il posto alla lucidità della veglia.
Fu proprio allungando le braccia che si accorse che quella che aveva creduto essere solo una sensazione era invece reale. Qualcosa la tratteneva per i polsi. Di scattò si voltò prima da un lato poi dall'altro e nell'innaturale luce che debolmente filtrava nella stanza vide che era legata con cinghie alle sbarre di un letto...che non era il suo nella sua camera nel suo appartamento. Sembrava un letto d'ospedale ma dove era? E perché l'avevano legata in quel modo? Aveva fatto qualcosa di così terribile e pericoloso da doverle immobilizzare i polsi? 
Non riusciva a ricordare niente della notte precedente o del giorno prima o della settimana antecedente. La sua mente era come bloccata, ogni ricordo era come scomparso dalla sua mente tranne che per alcuni sprazzi confusi che non riusciva a collocare in un contesto temporale ben preciso.
Se non altro, si rese conto sollevando stizzita i piedi, le gambe gliele avevano lasciate libere e poteva sistemarsi in una posizione meno scomoda.
Il suo stomaco brontolò. Ma che ore erano? E quanto aveva dormito? E cosa era successo la notte prima? Era uscita, e di questo ne era ben certa, con suoi amici per andare alla festa di inaugurazione di un nuovo locale. Ma che fine avevano fatto i suoi amici ora? Stavano bene? Erano anche loro rinchiusi e legati come lei? Una ridda di domande le si formulò nella testa mentre si sentiva prendere dal panico.
Perché era stata portata in quel posto? In quel mentre un refolo di vento gelido entrò dalla finestra accarezzandola ma lei non percepì particolarmente la sensazione di freddo come invece avrebbe dovuto avvenire dato che era nuda. Dove erano quindi i suoi vestiti?
Si levò quel tanto che i legacci le consentivano e si guardò intorno: una stanza spoglia dalle pareti grigio azzurre, oltre al letto unici altri arredamenti erano un tavolino e una sedia. Sembrava la camera di un ospedale o qualcosa del genere.
Provò a dar voce al vortice di pensieri ma le uscì dalla gola solo un sordo squittio.
Dall'esterno udiva solamente il sibilo del vento e da oltre la porta nessun rumore, chiuse gli occhi cercando di far chiarezza tra i suoi pensieri per venire a capo di quel mistero.
Punto primo, era uscita insieme ai soliti amici per andare ad una festa in un nuovo club. Punto secondo, non ricordava altro. Né dove fosse il locale, né se ci fossero arrivati, niente...tabula rasa. L'unica cosa che le restava addosso era la sensazione che niente, quella sera, fosse andato come si era aspettata.
Si leccò istintivamente le labbra sentendole secche e screpolate sotto la lingua. Aveva molta sete e anche fame. Da quanto era in quel posto. Da più di un giorno? Chi ce l'aveva portata e perché e dove erano i suoi amici? Erano anche loro stati rinchiusi in quel posto?
Tentò di nuovo di parlare e ancora non uscì dalla sua bocca un suono articolato. Cominciò ad avere paura. "Non devi aver paura, qui nessuno ti farà del male se ovviamente tu non lo desideri". Sbatté gli occhi al suono metallico e anonimo della voce, che proveniva dalla figura femminile ritta sulla soglia. Allora in quel posto qualcuno c'era! Per un lungo momento aveva temuto di esser la sola là dentro.
Dal corridoio, dietro la donna, udiva provenire serie ininterrotte di lamenti e scorgeva persone che si muovevano. Alcuni sembrava camminassero a passo deciso e svelto altri a fatica, strascicando i piedi.
La ragazza trattenne un respiro quando la porta, d’improvviso, si aprì. Senza emettere alcun cigolio. Nella stanza entrò una donna: alta e abbigliata di nero si confondeva nell’oscurità circostante. Raggiunse con pochi passi il capezzale della giovane e si concesse un sorriso osservandola. Era chiaro che i suoi informatori non si erano sbagliati.
Prima che lei potesse in alcun modo emettere un suono, si chinò sul suo viso e si portò un indice alle labbra. Quella non poté far nulla per ritrarsi, immobilizzata come era e rimase distesa sul letto, nuda, di fronte alla donna misteriosa.
«Brava, brava - esordì quella con voce seria e glaciale -. Hai dormito per tre giorni e cominciavo ad essere preoccupata. Il siero dormiente che ti abbiamo dato avrebbe dovuto farti restare incosciente solo per qualche ora. Ma ora che ti vedo dal vivo, posso capire il perché dell’effetto che ha avuto su di te: sei così minuta».
Tacque e lanciò un’occhiata ancora alla prigioniera. Avevamo impiegato mesi a rintracciarla e ora non se la sarebbe fatta scappare, per nulla al mondo.
Prese una sedia e si accomodò. «Se farai come ti dico - proseguì - entro breve sarai libera. Altrimenti resterai in nostra custodia per molti anni. Nessuno si accorgerà che sei sparita, uno spirito libero come te, sempre in movimento e senza alcun legame. I tuoi cosiddetti amici penseranno che tu abbia solo lasciato la città. Non ti verranno a cercare».
Cyan cercò di seguire il discorso ma le riusciva difficile: non aveva senso quello che la sconosciuta le stava dicendo. Avrebbe voluto replicare ma nuovamente le fu fatto cenno di non provare a parlare.
«Adesso ti libero, poi verrai con me in un posto. Devi avere pazienza ancora per poco e poi sarai libera di tornartene alla tua vita». Concluse la donna, poi si alzò e si fece vicino, le slegò i polsi. Cyan rimase immobile, aspettando un cenno dalla donna, ma quella non le disse nulla. Si spostò fino all’armadio e l’aprì. Ne tirò fuori una vestaglia grigio chiaro, che porse poi alla ragazza, aiutandola anche ad indossarla: tre giorni con i polsi legati avevano irrigidito i muscoli delle spalle, rendendo l’operazione difficoltosa.
Poi l’aiutò a mettersi in piedi, «Adesso andiamo». Le disse quando fu in piedi.
Uscirono e Cyan seguì la donna. Quando furono in corridoio, lei poté osservarla con più calma. Era una spilungona secca secca e di una certa età, indossava un abito scuro, formato da una giacca stretta dal collo alla finanziera, e da una gonna che arrivava fino al pavimento. Questo abbigliamento le conferiva un aspetto ancor più arcigno dell’espressione sul suo viso. La pelle era sottile e tirata, una raggiera di rughe copriva la zona tra gli zigomi e gli angoli della bocca, sottile e stirata in una in un sorriso severo. Cyan pensò che le ricordava il personaggio di un romanzo che aveva letto molti anni prima, nella casa famiglia dove aveva trascorso l’infanzia. Teneva le mani all’altezza della vita strette insieme, le braccia piegate quasi ad angolo retto seguivano la linea del corpo aderendovi. La schiena era dritta e nel complesso si muoveva in modo rigido.
La ragazza la seguì, il linoleum avrebbe dovuto essere freddo sotto i suoi piedi scalzi ma non sentiva nulla. La medesima sensazione, che l’aveva colta quando si era svegliata, la colse. Per non cedere al panico si concentrò sulle persone che attraversavano il corridoio. Intorno a lei si muovevano quelli che sembravano pazienti, forse era in un’ospedale. Forse era stata male ed era stata portata là per qualche esame, ma se era così, che bisogno c’era di tutta quella segretezza?
Mentre si faceva tutte quelle domande notò qualcosa di strano. Gli uomini e le donne che le passavano vicino, avanti e indietro lungo il passaggio illuminato al neon, sembravano morti riportati in vita. Roba da film horror di serie b.
I visi erano smorti, con la pelle bluastra agli angoli della bocca e profonde occhiaie nere intorno agli occhi, resi opachi da velature biancastre. Sembrava impossibile che riuscissero ancora a vedere qualcosa.
Le labbra erano secche e screpolate, da alcune delle ferite fuoriusciva quello che sembrava del muco verdastro mischiato a sangue scuro, che colava sui camicioni che indossavano. Ai piedi avevano delle pantofole di panno grezzo, che non producevano alcun rumore venendo strascicate sul pavimento. In quel posto non si sentiva nulla, l’atmosfera era ovattata e irreale.
Camminarono per non più di dieci minuti, in silenzio. Incredibilmente quegli zombie riuscivano ad evitarle mentre girovagavano senza meta.
Cyan per un secondo pensò che forse era impazzita e ora si trovava in manicomio, ma le sembrava di essere lucida e di avere le idee chiare. Soprattutto voleva andarsene il prima possibile.
«Eccoci», la donna le indicò una porta, di metallo pesante, poi spinse alcuni pulsanti, situati dove avrebbe dovuto esserci la serratura, appena sotto la maniglia. Con un click, che rimbombò in mezzo a quella bolla silenziosa, la porta scattò e si schiuse di pochi centimetri. La donna la tirò verso di sé e fece un cenno a Cyan di entrare nel corridoio buio. La ragazza non se lo fece ripetere e varcò la soglia. Una luce al neon tremolò e si accese. Man mano che procedevano le luci si accendevano, spegnendosi alle loro spalle.

Procedevano in quelle pozze di luce tremula, il corridoio sembrava infinito fino a che, dopo forse una passeggiata di un quarto d’ora, si ritrovarono davanti ad una seconda porta, anche questa con un tastierino numerico di sicurezza al posto della serratura.