martedì 15 ottobre 2013

CRONACHE DALLA FORESTA DI KHUN



Nell'impenetrabile e vastissima foresta di Khun (che nessun geografo era mai riuscito a riprodurre su una mappa definendone i confini), tra tutte le creature leggendarie che vi avevano trovato rifugio nel corso dei secoli, l’unicorno era sempre stato considerato animale sacro ed intoccabile per eccellenza. Dagli uomini era indicato come simbolo di coraggio indomito in battaglia, perché nonostante la sua natura mite non si era mai tirato indietro per difendere il proprio territorio e i propri simili, se minacciato. Le donne lo consideravano emblema di purezza e di umiltà, perché per quanto fosse una creatura dalla straordinaria e superba bellezza - dalla linea snella ed elegante del corpo alle lunghe zampe dagli zoccoli dorati o argentati, per le lunghe criniere e code fino ai dolcissimi occhi, che potevano avere il colore del cielo o essere di un intenso viola o ancora di un cangiante bianco oppure per i lunghi corni ritorti che spiccavano al centro della fronte - non amava pavoneggiarsi come era costume, invece, di certe creature come il pavone o i grossi felini che si nascondevano nei recessi più bui dell’intrico di rami, arbusti, alberi e sottobosco che era la foresta di Khun.
A rendere questo leggendario animale ancor più benvoluto dall’uomo era la sua intelligenza, definibile al pari di quella umana. Secondo alcuni, che sostenevano di avere avuto incontri con queste creature, alcuni di essi possedevano il prezioso dono della parola, un attributo che durante il governo di taluni regnanti avevano portato rappresentanti di questa specie a palazzo, dove erano stati assurti al ruolo di consiglieri del re - dimostrando in parecchie situazioni maggior giudizio e buon senso di chi sedeva sul trono -.
Numerose erano le leggende e le storie che su questo mitologico animale circolavano, e tutte lo indicavano come protagonista di gesta eroiche e di grande generosità nei confronti di qualunque creatura abitasse nella foresta di Khun, ma vi era stato un lungo lasso di tempo in cui coloro che le conoscevano non avevano osato narrarle, e nel breve volgere di poche generazioni erano state quasi del tutto dimenticate. Le storie sugli unicorni erano state soppiantate da quelle delle azioni degli uomini e queste erano legate ad uno dei periodi più bui e terribili che la storia umana avesse vissuto, un evo che era stato caratterizzato da pestilenze, guerre, ladrocini, violenze, soprusi nei confronti della popolazione del regno di cui la foresta di Khun faceva  parte. Si era trattato di un periodo che veniva - quelle rarissime occasioni in cui era nominato - come il periodo successivo a "la morte dell’ultimo unicorno". 
Non che questa specie si fosse del tutto estinta durante quegli anni terribili ma quello che portò la gente a definire in quel modo quel lungo lasso di tempo fu una decisione presa dal sovrano in persona. 
All'incirca alla metà del suo regno Re Horgas - passato alla storia con il ben poco nobile appellativo di «l’oppressore» - decise che credere alle creature magiche, che si affermava abitassero i recessi della foresta di Khun e forse qualche altra regione limitrofa ad essa, fosse da primitivi e da selvaggi. 
Decise quindi di emettere numerosi decreti in cui si vietava al popolino di parlare di quegli argomenti, ai poeti impose di non cantare mai più le avventure e le storie e ai bambini di dare vita a giochi che da quelle favole prendessero spunto. Fece circolare nuove storie in cui lui e i suoi cavalieri erano protagonisti, agli aedi fece comporre nuovi poemi in cui i fatti della guerra, o gli amori di palazzo erano i principali temi e infine equiparò gli unicorni alle più normali specie animali che vivevano nelle foreste come cervi, lupi, scoiattoli e tutto ciò che era considerato cacciabile e così anch'essi cominciarono a cadere sotto le frecce dei cacciatori e in breve i pochi esemplari rimasti a quella carneficina si nascosero nei luoghi più remoti del bosco. 
Pochi anni dopo quegli editti quando un giovane cacciatore portò al re il corpo senza vita di un anziano unicorno. La criniera, che un tempo doveva essere stata di un fulvo dorato era candida, il corno era smussato dalle battaglie che aveva sostenuto durante la gioventù e che l'avevano lasciato privo di un occhio e con il corpo ricoperto da molteplici cicatrici. Quando il vecchio sovrano vide il corpo senza vita dell'animale domandò al giovane se quello era l'ultimo della sua specie. Il cacciatore assicurò che quello era senza ombra di dubbio, o possibilità di smentita, l’ultimo esemplare di quella razza, l’ultimo unicorno della foresta di Khun e probabilmente di tutto il mondo conosciuto. Horgas era scoppiato in una sonora risata a quella risposta, soddisfatto per quanto era riuscito a compiere: ora il popolo non parlava più delle stupidaggini fantastiche ma si industriava per guadagnare i soldi per pagare le tasse (che di anno in anno aumentavano sempre di più per consentire alla corte di mantenere un tenore di vita elevato e lussuoso) e nessuno osava contrastare alcuna decisione del sovrano, né in tempo di pace e tanto meno in tempo di guerra. 
Horgas diede ordine di scuoiare l'unicorno e appendere la pelle e il corno nella piazza principale di modo che tutti venissero a conoscenza che nella foresta di Khun non vi era più alcun animale di fantasia ma solamente concrete bestie che si potevano cacciare per ricavare pellami e carne da vendere nei mercati o per uso personale (consentito dopo che era stato pagato uno scellino di tassa in quanto Horgas aveva emesso un editto in cui inseriva nei possedimenti della sua casata la foresta di Khun, azione del tutto arbitraria).
Il cacciatore che aveva portato l'ultimo unicorno aveva lasciato la carcassa dell'animale ai guardaboschi del re e se ne era andato, rifiutando la ricompensa che il sovrano voleva elargirgli, sostenendo che era stato solo un caso fortuito che la sua freccia avesse colpito l'unicorno. Se ne era andato e nessuno l'aveva più visto o ne aveva sentito parlare per parecchi anni anche se qualcuno sosteneva di averlo visto aggirarsi per la foresta con gli occhi da folle ripetendo frasi sconnesse poi era semplicemente svanito.
Gli editti emanati da Horgas, culminati con lo sterminio indiscriminato degli unicorni sortirono come effetto principale un inaridimento degli animi della popolazione, la quale rivolse i propri pensieri esclusivamente ad attività più terrene e più produttive, dall'agricoltura al commercio. Nel breve volgere di un decennio nessuno fu più in grado di ripetere le storie sulle gesta di Horgas e di comporre più poesie, le arti scomparvero e per farsi fare un solo ritratto era necessario valicare i confini del regno e, tranne che a palazzo, non si festeggiavano più ricorrenze o festività. La vita era un serie di giorni lavorativi in fila uno dietro l'altro, cosa che comunque era diventata una necessità per sostenere il peso dei balzelli. Spesso nelle famiglie si arrivava a far interrompere ai figli gli studi per mandarli a fare i garzoni di bottega e il popolino divenne una massa ignorante e succube degli editti del re di turno.
Horgas l’oppressore morì qualche settimana dopo l'uccisione dell'ultimo unicorno, in maniera molto misteriosa ma colui che governò dopo di lui e i successivi sovrani non furono migliori. Un paio di secoli dopo salì al trono un tale Kershen, che per qualche strano incrocio di destini e di matrimoni era arrivato ad essere l’ultimo in linea di successione della casata cui apparteneva Horgas. 
Quasi trecento anni si erano succeduti tra guerre, ladrocini, carestie, pestilenze, governanti incapaci che dissanguarono il popolo con tasse, balzelli, tributi, imposte e gabelle che svuotarono le tasche dei cittadini per andare a rimpinguare quelle del palazzo dove la corte viveva in uno sfarzo sfrenato mentre i più non avevano di che mettere insieme il pranzo con la cena.
E se durante il regno di Horgas e dei suoi successori la popolazione se la passava male nemmeno per l’esercito le cose andavano bene. Il paese viveva un costante stato d’assedio e l’esercito doveva tenere a bada invasioni quasi continue.
Nel corso dei decenni Horgas prima e poi i suoi eredi avevano proceduto a smantellare la potente macchina bellica che era stato l’esercito. I soldati erano in costante servizio attivo, sottopagati, sfruttati e disprezzati dai cortigiani che facevano la bella vita a palazzo.
Solamente un esiguo numero di guarnigioni erano mantenute negli avamposti considerati strategici in caso di attacco nemico. 
L’unico ordine che quei generali avevano ricevuto da ogni nuovo sovrano che posava il proprio sedere sul trono e si metteva la corona in testa consisteva nel proseguire a combattere contro possibili invasori ma in nessun caso avvertire il re o la capitale perché, come più di un re aveva spiegato quando li aveva convocati in udienza impartendo quelle direttive, «Dopotutto erano faccende militari e non interessavano nessuno nel regno» e quella frase era divenuta di rito ad ogni nuova incoronazione. In non poche occasioni i supremi comandi dell’esercito non si erano trovati d’accordo e avevano tentato di far cambiare idea ai governanti ma alla fine avevano dovuto accettare quella decisione, soprattutto dopo che uno dei tanti re cui si erano rivolti aveva fatto capire loro che se i suoi ordini non fossero stati rispettati la prima conseguenza per loro sarebbe stata la detenzione per qualche tempo nelle galere del palazzo nei casi migliori, nei casi considerati più gravi la detenzione a vita e se avessero subodorato un tentativo di tradimento la sentenza prevedeva la morte per impiccagione o per decapitazione.
Nel corso del governo di Horgas e dei suoi successori le sorte del regno furono rette sopprimendo ogni tipo di contestazione o moto di ribellione servendosi di una polizia segreta. In quegli anni terribili parecchie migliaia di persone finirono nelle prigioni reali oppure scomparvero, senza che alcuno riuscisse a sapere che fine avessero fatto.
Il periodo che aveva fatto seguito a "la morte dell’ultimo unicorno" ebbe fine nello stesso modo in cui aveva avuto inizio, con un’incoronazione, un matrimonio e un battesimo e qualche editto reale.
Quando il giovane principe Kershen salì al trono prese in moglie la duchessa Mathilda e tutti, dal più umile servitore fino al più alto prelato, dai nobili di basso lignaggio a quelli imparentati con la famiglia reale, dall’ultimo soldato al supremo comandante, sperò che quel giovane che aveva studiato in paesi lontani ed era stato allevato secondo leggi e regole diverse da quelle che i suoi antenati avevano emanato nel corso dei secoli si rivelasse migliore di chi lo aveva preceduto. 
E per una volta gli dei ascoltarono le preci e le invocazioni di quegli uomini e di quelle donne. 
Dopo l’incoronazione il nuovo sovrano cominciò un lento lavoro di sistemazione della legislatura del regno, tra cui un editto che metteva fuorilegge la caccia agli unicorni. I suoi segretari e consiglieri non approvarono quell’idea e capirono che dovevano far qualcosa per mantenere lo status quo quando egli inviò ad esplorare la foresta di Khun alcuni suoi fedeli guardiacaccia. 
«Voglio che scopriate se qualche esemplare possa essere scampato al genocidio. Non limitatevi a loro: cercate ogni creatura incantata che in quegli intrichi ha trovato riparo dalla follia dei miei antenati. Fate, salamandre, grifoni o linci volanti. Trovatele e occupatevene, in modo che capiscano che la Foresta di Khun è tornata un luogo sicuro».
Così aveva parlato il re. Il secondo atto del governo di Kershen fu invitare in patria gli eruditi incontrati nei suoi viaggi, perché studiassero i testi che languivano nelle biblioteche e, a loro volta, facessero ricerca su tutte le storie che dovevano esistere e che forse qualcuno ancora ricordava. 
Altro gesto di Kershen fu quello di liberarsi di tutti i consiglieri legati al precedente sovrano, tenendo solamente due suoi fidati collaboratori provenienti dal nord e abili tanto con la spada quanto con le parole.
La popolazione accolse con gioia quelle decisioni, sicura che ne avrebbero fatte seguito altre di altrettanta saggezza.
Grande fu la gioia del re e del popolo quando quegli uomini che avevano setacciato ogni anfratto dell’oscura foresta di Khun fecero ritorno conducendo ben quattro esemplari di unicorno.
Apriva la parata un enorme maschio nero, con una lunga criniera bianca e l’aspetto fiero. Gli occhi erano trasparenti come la luce e li teneva socchiusi mentre traversava la via principale della capitale, circondato da una folla urlante. Al centro della fronte spiccava un lungo corno ritorno, di un accecante color perlaceo mentre i suoi zoccoli erano color oro.
Lo seguiva una femmina, più piccola e dalla struttura delicata. Il mantello era di un delicato color bianco rosato come pure la criniera e la coda. I suoi occhi erano simili per colore al cielo medesimo e il suo corno, più corto di quello del maschio, era liscio e color pervinca. I suoi zoccoli argentati non producevano rumore mentre veniva condotta a lungo la via.
Due puledrini, dagli occhi cerulei e le criniere lilla ma dai manti neri. Il corno di uno era nero e a spirale mentre quello dell’altro era bianco e liscio, gli zoccoli erano entrambi argentati.
I quattro animali furono portati in una zona riparata del parco reale, dove furono visitati dai veterinari che provvidero a curare alcune piccole ferite che dovevano essersi procurati quando avevano visto gli uomini, che erano riusciti a catturarli. Anche se si erano fatti docilmente condurre dai loro rifugi alla capitale, i quattro unicorni non si rivelarono altrettanto docili una volta arrivati al parco del re. Furono lasciati liberi di correre per i giardini e la foresta protetta, lasciandosi avvicinare solo dagli uomini che li avevano trovati e verso cui sembravano provare una sorta di riconoscenza.
«Maestà dovete tenere conto - spiegò uno dei veterinari, durante una delle visite del monarca - che questi animali hanno ereditato dai loro antenati il terrore degli uomini, durante i secoli in cui la loro stirpe è stata cacciata indiscriminatamente, costringendoli a rintanarsi nei luoghi oscuri e selvaggi dove sono stati trovati». 
Gli unicorni furono ospitati nel parco reale per quasi due lunghi anni e non appena i due puledri furono cresciuti furono riportati nella foresta di Khun, perché la ripopolassero. Nel giro di nemmeno dieci anni la popolazione degli unicorni si era moltiplicata, in quanto una volta che avevano fatto ritorno, tra gli alberi e le radure erano emersi molti altri esemplari, a dimostrazione che nonostante tutti i tentativi di sterminarli, gli animali si erano rivelati più furbi ed intelligenti degli umani. 
Anche il recupero delle antiche tradizioni proseguì relativamente veloce, infatti più ci si allontanava dalla capitale e quindi dal diretto controllo del monarca più le nozioni delle antiche storie erano più facili da recuperare e nel breve volgere di un quinquennio gli eruditi poterono presentare a re Kershen i primi volumi contenenti leggende e miti legati alla Foresta di Khun.
Ogni settimana il re ascoltava le richieste dei cittadini e, come con gli studiosi, aveva mandato suoi uomini fidati per sapere quale era la situazione in cui si trovavano i suoi sudditi. La risposta non gli era piaciuta, per nulla. Per settimane era rimasto chiuso nel suo studio cercando una soluzione.
Kershen non era uomo da lasciarsi intimorire dalle sfide e aveva preparato una serie di ordini che avrebbero dovuto rimettere in sesto l’intero regno.
Fece riaprire le scuole e le accademie e a chi gli domandava perché, rispondeva che «Un popolo che non apprende a leggere e scrivere, non è un popolo libero. Non è diffondendo l’ignoranza che si può sperare di essere migliori ma studiando e approfondendo. La mente si apre ad un mondo nuovo. A questo servono anche le leggende e i miti del passato. Ogni uomo dotato di intelligenza deve avere la possibilità di imparare e di avere una cultura. Non basta sapere un mestiere per essere un uomo».
Quei discorsi poco piacevano ai nobili, che vivevano ancorati alle tradizioni tramandate dai tempi di Horgas, facendosi mantenere dal popolo. Fu intorno al quindicesimo anno di regno di Kershen che i nobili ordirono una congiura, ma furono sbattuti fuori dai confini del regno dai nuovi ranghi dell'esercito, che era ritornato se non proprio agli antichi splendori almeno ad una forma decente, fedele al nuovo sovrano.
Altri dissidenti se ne andarono spontaneamente, dopo aver tentato di assassinare non più il re ma il principe.
Kershen, che si era sempre reputato un uomo fortunato, aveva infatti garantito la successione dinastica generando un figlio maschio, che era stato chiamato August. Per volere di Kershen stesso il bambino era stato allevato in modo sobrio, favorendo le arti alla pratica della guerra e impedendo che il piccolo si perdesse nel vizio e nell’ozio. Lui stesso, per quanto sempre oberato di lavoro, trascorreva con il figlio ogni momento libero dagli impegni di stato. Nonostante gli insegnamenti paterni August rimase sempre parecchi passi indietro ed ancorato ad alcune delle tradizioni severe introdotte dai suoi avi.
Tra un riforma delle accademie e il tentativo di ridurre le tasse, Kershen era anche riuscito a ripristinare l’esercito, a rinforzare i confini e a stringere qualche debole trattato di pace.
Sentiva la fatica del regnare sulle sue spalle e il corpo divorato dalla malattia e il momento di passare il comando ad August si faceva sempre più vicino. Tanto Kershen che la corte si rendeva conto che era necessario trovare una sposa per il giovane August. Mathilda, la madre del principe, si era rivelata un prezioso sostegno per il sovrano ed egli voleva per il figlio una moglie che gli fosse di aiuto e non di intralcio. 
Dopo parecchi tentativi la scelta era caduta sulla figlia maggiore di un potente principe di un regno rinomato per la rigidità delle sue leggi e per la diffusa leggenda che alcune eredi venissero allevate secondo le regole della cavalleria.
La regina espresse in più di un’occasione la sua perplessità ma il marito fu irremovibile e alla fine lei cedette.
Missive furono inviate chiedendo, senza troppi giri di parole, la mano della principessa Lavia. Da parte del regnante giunse come risposta un ritratto della fanciulla e la richiesta di uno del principe.
Per qualche mese tra le due capitali vi fu un intenso scambio di messaggeri e alla fine si giunse ad un accordo. Kershen era compiaciuto e Mathilda cominciò a sospettare che trovasse divertente quella corrispondenza con il padre della principessa Lavia. Nuovamente cercò di parlargli ma Kershen la zittì. «Cerchi sempre di togliermi il divertimento in ogni mio atto», poi indicò l’ultima lettera giunta dal vicino. «Ha accettato e ha detto che a breve arriverà un messaggero per preannunciare l’arrivo del corteo che accompagnerà la principessa Lavia al nostro palazzo. Mi aspetto quindi che tu organizzi un’accoglienza degna della futura regina. In gioco c’è molto più del futuro della nostra casata. Ora lasciami, ho una riunione per vedere se questo ennesimo patto di pace funziona oppure no». Kershen aveva sbuffato mentre qualche delegato si presentava alla sua porta chiedendo udienza.
Mathilda aveva annuito e si era congedata dal marito per andare a dare la buona novella al figlio. August era nel giardino a passeggiare, seguito a vista da due guardie del palazzo. Quando videro comparire la regina si misero sull’attenti ma quella li ignorò. Mathilda fece un cenno al figlio e insieme si allontanarono.