sabato 31 marzo 2012

ORDO TENEBRARUM - L'ARCANGELO NERO


1 - Un'istruttiva visita in ospedale ricca di sorprese
La camera era molto più ampia rispetto a quelle tipiche dei reparti di lungodegenza degli ospedali e tremendamente in ordine ma non impersonale. Piccoli aggiustamenti rendevano un po' del calore casalingo a quel luogo altrimenti di patimento. Un armadio a muro di legno chiaro e lucido era stato sistemato sulla destra rispetto a chi vi entrava e su un cassettone, posto di lato, erano sistemati ordinatamente dei pupazzetti di pelouche. Avevano un'aria vagamente inquietante, con i loro occhietti a bottoncino senza espressione ed immoti. Una televisione troneggiava nell'angolo destro e di fronte era stata posta una poltrona, sulla quale in quel momento un'anziana infermiera riposava: le mani raccolte in grembo e un sorriso appena accennato sul volto. 
Al centro della stanza campeggiava il letto, non uno di quei lettuccio da ospedale e nemmeno uno qualunque ma un futon, basso e ampio (doveva essere matrimoniale, se non addirittura più grande). Era ben rifatto e la persona che vi giaceva quasi vi scompariva. Era una ragazza, capelli rossi, lunghi e ben pettinati, che si spargevano sui cuscini intorno alla pelle diafana del viso, solo sul naso si intravedevano spruzzate di lentiggini. Le labbra erano piuttosto sottili e di un naturale rosa. Aveva le palpebre abbassate, immobili. Il petto si sollevava appena, nel lento e regolare respiro di una persona che dorme tranquillamente. Lo sguardo dello spettatore, scendendo, avrebbe potuto notare la parte superiore della casacca di un pigiama spuntare da sotto le coltri, composte di una coperta viola e lenzuola nere. 
Quella che ad un primo sguardo appariva come una scena di assoluta tranquillità virava all'inquietante, rimandando ad immagini di tremenda crudeltà e barbarie, quando si notava che i polsi della ragazza addormentata erano strettamente legate ai bordi del letto, presi in prestito sicuramente da uno di quelli dell'ospedale. La costrizione avrebbe impedito alla fanciulla un qualunque movimento, non appena si fosse destata, impedendo così di strappare l'ago che aveva nel braccio e che la collegava alla sacca di soluzione salina e che probabilmente aveva anche una sua qualche utilità. 
In quel preciso momento all'uomo dai capelli neri, che stava all'entrata della stanza, non sembrava che la posizione creasse qualche problema alla ragazza ma di certo non doveva essere delle più comode, comunque.
Sembrava molto giovane, sebbene gli avessero riferito che si trovava in quel luogo da parecchi anni, da quando non era che una bambina. La risposta non l'aveva stupito più di tanto, un vano e bieco tentativo di nasconderla. Come se fosse possibile, nasconderla. Un sorriso cattivo si allargò sul suo viso, quindi si voltò e percorse il corridoio, doveva solo sapere, avere un quadro più preciso possibile della situazione. Poi avrebbe potuto agire senza correre il rischio di non riuscire nel suo obiettivo.
Il misterioso sconosciuto, eludendo le domande sulla sua relazione o parentela con quella particolare paziente, era riuscito ad interpellare i medici e le infermiere che si occupavano di le che cosa di preciso avesse. Gli interpellati avevano risposto che non si sapeva esattamente quale fosse la sua patologia, dato che secondo gli esami cui era stata sottoposta in quegli anni era risultato solo che godeva di ottima salute. 
«I suoi esami clinici sono tra i migliori che abbia mai visto - aveva commentato un interno, un po' più gentile degli altri -.
La seguo da un paio d'anni ma non si riesce a capire che cosa abbia. La sua famiglia vuole solo che sia tenuta qui, legata e sedata per la maggior parte del tempo. Dicono che è una precauzione, per cosa non si sa. Non si son mai voluti sbilanciare. In un'occasione, comunque, mi è capitato di assistere ad un suo improvviso risveglio e devo ammettere che non è per nulla un tipo tranquillo, Lylyth. I suoi modi di fare sono quelli di una erinne: urla, insulti, atti violenti verso gli infermieri e noi medici e altri comportamenti disdicevoli».
Una dottoressa dall'aspetto tutt'altro che materno aveva chiosato: «Noi ci occupiamo di lei, la la sua famiglia è ricca e l'avvocato ci paga la retta tutte le settimane, sborsa non so quanti quattrini per pagare la bella addormentata di là, che dovrebbe occuparsi di lei e invece non fa altro che guardare la tv e dormire. Quindi noi non facciamo domande e ci premuriamo solo che tutto ciò che questi richiedono sia eseguito secondo le loro direttive». E se ne era andata senza aggiungere altro.
«Lylyth - aveva detto un'infermiera dalla pelle olivastra - è solo una povera vittima: la tengono sedata, ogni tanto la portano fuori ma sempre e solo sotto farmaci, appena accenna a svegliarsi la imbottiscono di nuovo. É sana e sta bene, ma a casa sua nessuno la vuole e una perizia di un qualche dottorone dice che è pericolosa per sé e che deve stare qui, in quelle condizioni». Nel pronunciare l'ultima frase aveva abbassato la voce e, dopo essersi fatta un veloce segno della croce, era corsa via. Hank aveva distolto lo sguardo di fronte a quel gesto e storto il viso in un'espressione di orrore e disgusto.
Il ragazzo non era rimasto stupito da quanto aveva saputo e in parte era stata solo una conferma ai suoi sospetti. Senza aggiunger altro era ritornato alla camera dove Lylyth Medwer "riposava". Aprì la porta, chiedendosi chi l'avesse chiusa dato che ben si ricordava di averla lasciata aperta, e si appoggiò allo stipite osservandola: una condizione non certamente facile da gestire, ma non impossibile. Ad avere i mezzi giusti. Sorrise di nuovo, non sarebbe stato troppo complicato, avvalendosi delle sue conoscenze e di quello che poteva fare, raggiungere il suo scopo: liberare Lylyth Medwer da quella prigione. Restò ad osservarla, da dietro le lenti scure, per parecchio tempo poi si riscosse e se ne andò, confondendosi nell'andirivieni di medici, pazienti e visitatori. «É stata una visita molto istruttiva - pensò mentre usciva dall'ospedale e si dirigeva alla sua moto, lasciandosi poi alle spalle il nosocomio - e anche molto utile».
Il primo obiettivo che Hank si era posto, dopo esser riuscito a venire a conoscenza di dove Lylyth fosse stata rinchiusa ed averla visitata, era recuperare il suo amico Bryth, sostegno ideale per quella missione, poi insieme avrebbero pensato ad un buon piano, in fretta perché il tempo scarseggiava, per portare via la ragazza e far perdere le loro tracce. 
Circa un'ora dopo che lo sconosciuto se ne era andato, Lylyth si mosse nel letto, destandosi dal suo sonno indotto. Su una mensolina era poggiata una siringa contenente la dose di uno strano intruglio di sonniferi e altri farmaci che doveva esserle somministrata ogni sette ore, in modo da tenerla sempre incosciente. L'orologio dell'infermiera trillò più volte, ma quella non si mosse, il viso rilassato in una calma più profonda di quella di un pisolino pomeridiano.
Boccheggiò spalancando gli occhi, di un verdeoro intenso. L'espressione non era per nulla amichevole. Lylyth cominciò a mugugnare rumorosamente, tentando di liberarsi dalle cinghie. Faticosamente mosse le braccia, l'inattività di tutti quegli anni aveva svigorito i suoi muscoli ed anche il più piccolo movimento le provocava lancinanti dolori, che le si propagavano per tutto il corpo. Provò ad urlare ma anche quell'operazione non le riuscì: le sue corde vocali erano anni che non venivano usate. Si lasciò cadere all'indietro conscia di essere impossibilitata a muoversi e a chiamare aiuto. Si ordinò di calmarsi, sperando che qualcuno venisse presto a controllarla e impiegò il tempo per cercare di comprendere dove si trovasse. Si sentiva stranamente inquieta, vedendo la donna nell'uniforme bianca riposare nella poltrona. Sembrava morta. Si girò a sinistra e con attenzione sollevò il polso magro, uno spesso legaccio di cuoio lo stringeva ed era inserito nel muro, non poteva muoversi.
«Perché era legata?», si chiese. «Era pericolosa? Non le sembrava di ricordare di aver mai fatto male a qualcuno. Ma non è che avesse chissà quanti ricordi del suo passato».
Si sentiva stranita e stanca, ma non aveva sonno, anzi. Sentiva una strana energia pervaderla. Provò nuovamente a parlare ma senza successo, digrignò i denti con rabbia e scalciò ancora, incurante del dolore sordo dei suoi muscoli, poi provò nuovamente a urlare e dopo non pochi sforzi riuscì ad emettere un suono strozzato. Non proprio un urlo, quanto più un guaito ma forte quel tanto da arrivare all'orecchio di un'infermiera pronta a lasciare il turno. Fu abbastanza per dare l'allarme ai medici che venivano profumatamente pagati per occuparsi di lei.
In pochi minuti un nugolo di persone fu al suo capezzale, con strani oggetti e cominciarono ad occuparsi di lei. Senza però parlarle o rivolgersi a lei direttamente.
Fu una donna in camice bianco e dall'espressione severa ad accorgersi dell'infermiera nella poltrona ordinando ad un'altra, che indossava un paio di pantaloni di un orrendo rosino pallido, di controllarla. La donna le si fece vicino, la toccò in alcuni punti quindi corse fuori a cercare qualcuno per portar via il corpo ormai senza vita della povera infermiera.
Un giovane di bell'aspetto le si accovacciò vicino e le sorrise, tastandole il polso e parlottando poi con la tizia in camice bianco che prese la siringa dalla mensolina e fece per inserire l'ago nel tubicino che collegava una sacca, che conteneva un liquido trasparente al suo braccio: il suo nutrimento.
Lylyth, in preda al panico, tirò un calcio colpendo il medico e facendole cadere la siringa, che si ruppe. «Muovit!», urlò all'interno, «Vai a prenderne un'altra, alla farmacia, dovrebbero averne di pronte...per le emergenze. Muoviti! Dobbiamo sedarla immediatamente, sai quali sono gli ordini».
Quello scattò, cercando di capire cosa poteva essere capitato: sembrava che il destino si stesse divertendo a sovvertire una situazione che andava avanti identica da quasi venticinque anni.
Ci vollero pochi minuti perché il dottorino raggiungesse la farmacia e ancor meno per tornare indietro con una terribile notizia: «Quella era l'ultima. Fino a domani mattina non ce ne saranno di pronte». Entrambi sbiancarono mentre Lylyth continuava a muoversi ossessivamente cercando di liberarsi lamentandosi.
«Tienila ferma mentre io vado a cercare qualcosa con cui metterla fuori combattimento sino a domani mattina», disse la dottoressa uscendo dalla stanza e dirigendosi verso la farmacia. Un normale sonnifero non sarebbe bastato perché il suo corpo era abituato ad uno strano cocktail di medicinali, preparato apposta per lei dal medico di famiglia. Non sapeva nemmeno a quali medicine poteva essere allergica: un problema nuovo.
Il sole era intanto calato e per Hank e Bryth entrare nell'ospedale senza dare nell'occhio fu molto più semplice di quanto avessero immaginato. All'imbocco del corridoio si divisero: Bryth proseguì dritto per andare a recuperare una sedia a rotelle mentre Hank fece per entrare nella stanza di Lylyth, ma si fermò poco prima di varcare la soglia sentendo la voce dell'interno parlarle. Si era svegliata quindi, si concesse un sorriso soddisfatto. Il fato giocava dalla sua, per una volta.
Attese un paio di minuti sperando che se ne andasse ma quando si rese conto che non ne aveva alcuna intenzione, decise di intervenire: non appena vide Bryth tornare verso di lui entrò nella camera e colpì al collo il medico. L'uomo si accasciò sul letto mentre Lylyth continuava a gorgogliare cercando di parlare e strattonando le braccia per liberarsi.
Hank le sorrise e le fece cenno di calmarsi e di fare silenzio, quindi si inginocchiò e slegò le cinghie, quindi la prese in braccio e la portò da Bryth, la depose sulla carrozzina e prese poi la coperta drappeggiandogliela intorno al corpo. Si chinò su di lei e le sussurrò: «Chiudi gli occhi come se stessi dormendo. Ti portiamo fuori di qui».
Lylyth ubbidì, pur essendo terrorizzata dalla situazione preferiva quei due ai medici che le erano stati intorno in quegli ultimi pochi minuti.
Velocemente Hank e Bryth spinsero la sedia a rotelle e il loro prezioso carico fuori dalla struttura, nel parcheggio e Hank la prese nuovamente in braccio e la depose sul sedile posteriore. «Andiamo Bryth, prima che si accorgano di cosa è successo”, disse Hank sedendosi al posto del navigatore.
La macchina nera scivolò fuori dal parcheggio e scomparì nella notte, mentre la scomparsa di Lylyth veniva scoperta e veniva mobilitata la polizia e la famiglia veniva avvertita.

giovedì 15 marzo 2012

SOLSTIZIO DI UN'ANIMA


Che silenzio, alle prime luci dell'alba, quando il mondo ancora non si è risvegliato dal sonno


Tutto tace, in quelle poche manciate di ultimi istanti, quando il cielo si scolora

E in questa serafica calma Io ancora mi aggiro, insonne, in preda ai miei demoni, che da sempre mi tengon compagnia


Quel giaciglio non reca requie al mio riposo. Il corpo rotto da 

spasmi, la mente in tenaglie di tremendi pensieri tenuta in catene
E in questa nuova visione di sole emerge, da dietro quelle cime di tenebra, sogno ad occhi aperti.

sabato 3 marzo 2012

Lost in Wonderland

Pettino bambole immaginare/ Come la bimba che fui/ Osservo distaccata il tempo che trascorre/ Persa in pensieri e illusioni di te.

In una girandola di stranezze/ poi come Alice mi sono smarrita/ Persa nel mio personale wonderland/ Cerco la strada per tornare/ Indietro.

Inseguo la tua ombra/ Silenziosamente io stessa/ Forse sei solo anche tu/ Mia fantasia e non realtà.