venerdì 4 maggio 2012

CASO 459034

Luce bianca, al neon, fredda. Illumina questo spazio altrettanto candido. Pareti color latte, mobili di metallo opaco o tinteggiati dello stesso colore delle mura. Persino con la vernice e l'intonaco si intuisce che sono mura antiche e fatte per durare, spesse e pesanti. Come l'aria che c'é, quasi ti toglie il respiro.
La ragazzina pensa questo, nella manciata di minuti in cui ha il tempo di osservare stanza. Non bada ai fantasmi pallidi che le danzano attorno in un'andirivieni costante all'interno di quell'edificio sconosciuto. Nemmeno si accorge degli altri, le urla non le giungono perché é sorda, quindi continua a sorridere timidamente. Per capire le persone guarda le labbra, ha imparato da piccola ad interpretare i movimenti e a correlarli alle parole. Per esprimersi scribacchia su una lavagnetta, lettere storte ed imprecise, sua mamma pazientemente gliel'ha insegnato dopo che la scuola elementare del quartiere di Monaco dove è cresciuta l'ha rifiutata perché non udente. Adesso non l'ha più, la sua lavagnetta, il suo contatto con quel mondo che le appare così strano e misterioso. Gliel'ha portata via, appena arrivata con l'autobus grigio, una signora vestita di bianco, che le ricorda la zia Magda: viso tirato e arcigno. Antipatica, le aveva tirato una sberla cattiva quando aveva tentato, allungando le mani, di riprendersi il suo tesoro color ebano e i gessetti bianchi. Sul viso bianco ancora si intravede il rossore causato dal ceffone, ma lei non ha pianto. Perché non vuol farsi veder piangere da quelle persone sconosciute, sebbene la spaventino.
É arrivata da poco più di un'ora in questo posto. La mamma le ha detto che é per il suo bene, che qui la cureranno e starà bene. Non capisce. lei già sta bene, é sana. Corre e gioca. Ride sempre. Nel suo mondo silenzioso, é felice. Perché allora deve stare là, dove stanno le persone malate (li ha intravisti mentre passava nel corridoio grigiastro che dal grande e bell'ingresso la ha portata in questa stanza bianca e fredda), quelle che non si alzano dal letto?. 
L'hanno spinta al centro di quello che le appare del tutto simile all'ambulatorio del dottor Meck. Resta lì, immobile e un po' spaventata, davanti ad un uomo. Grande, grosso e minaccioso, mani dalle dita grasse si muovono, regge una penna e quasi scompare in mezzo a quel grasso. Le sorride ma non è dolce, appare più come un ghigno malvagio e il resto del viso tondo le appare come un grugno di porco. Nella casa di campagna del nonno li ha visti tante volte. Lo guarda, le fa schifo ma non ha il coraggio di distogliere lo sguardo: qualcosa in quegli occhi azzurri chiari e gelidi le fa capire che non deve fare niente. Il minimo gesto sarebbe punito, come lo schiaffo ricevuto quando ha provato a riprendersi la sua lavagnetta.
Cerca di stare ferma, le mani strette dietro la schiena sfiorano appena il fiocco del suo abito. É quello della festa, la mamma gliel'ha fatto indossare perché facesse una buona impressione al suo ingresso nella struttura. É azzurro e non le piace, ma è quello più bello che possiede e mamma non ha voluto sentire ragioni. Ha le maniche corte, che terminano con un pizzo rigido, che le provoca sempre prurito. Anche adesso ma non ha il coraggio di grattarsi. 
Sa che non dovrebbe trovarsi in quel posto per malati: è sana e sta bene, il rossore sulle braccia é dato solo dal tessuto che sfrega sulla sua pelle bianca.
Non é stupida, come qualcuno l'ha definita più volte, solo sorda e non del tutto muta. Riesce ad emettere qualche suono, dice mamma con orgoglio, non proprio parole complete ma abbastanza si esprime in modo abbastanza chiaro perché chi sia abituato a sentirla riesca a capire ciò che intende esprimere. Vuole andare a casa, giocare in giardino con Dieter, il figlio del maggiordomo. Non le piace quel posto, non le piace quel maiale su due gambe. Ora si è alzato e le si è avvicinato, la tocca, la rigira e parla senza guardarla in faccia. Come se non fosse lì. E allora Anneke si agita, si divincola. Urla! In realtà sono poco più che squittii acuti ma per lei sono grida. Altissime e piene di dolore, frustrazione e odio.
Non riesce a capire cosa ci faccia in quel luogo sconosciuto. Ignora che si tratta di un moderno presidio medico, dove sono applicate le più moderne tecniche terapeutiche per l'assistenza esperta dei bambini con malattie ereditarie, è stato illustrato con dovizia di particolari sui giornali locali. Il luogo è divenuto rinomato in tutta quella parte del paese tanto per i metodi all'avanguardia quanto per l'elevato numero di decessi.
Il Doktor Herbert Finchermann, direttore del nuovissimo ed attrezzatissimo reparto dell’ospedale, blocca facilmente la piccola Anneke Heider, dodici anni vissuti nel silenzio, poco più che analfabeta e quindi incapace, una volta cresciuta, di poter lavorare, secondo i canoni imposti dal Furher, niente più che un peso per la società ariana. Improduttiva, come è stata definita dal medico di famiglia, che ha provveduto a segnalare il suo caso alle autorità competenti dopo l’ultimo controllo. 
"É troppo giovane per la sterilizzazione e non c'è in ogni modo tempo per aspettare il corso della natura. Per il resto non sembra affetta da altre malattie visibili ad un primo superficiale esame, ma non si può escludere nulla. Il provenire da una famiglia benestante assicura in ogni modo una certa educazione da parte della paziente 459034, che ha dimostrato di sapersi comportare con rispetto, sebbene il suo handicap renda pressoché impossibile avere una normale forma di comunicazione con lei. Nonostante la buona educazione ricevuta ha tenuto un comportamento durante la visita che è possibile definire come violento e antisociale. Questa reazione inconsulta e del tutto inadeguata Ci porta a supporre un primo cedimento o una prima forma di malattia mentale. É quindi necessario internarla in questa struttura e sottoporla quanto prima al trattamento", avrebbe scritto Finchermann compilando la cartella della bimba dopo il loro breve e poco felice incontro. 
Così vuole la lettera firmata da Hitler, che ha valore di legge per loro, pensava lo psichiatra, e magari potrebbe uscircene una bella promozione e un avanzamento di carriera. 
"Krankenschwester (infermiera) Zalinder la porti alla camerata 9", ringhiò il medico psichiatra quando Anneke tentò di liberarsi, mordendolo. "É in preda ad una crisi violenta, provveda a sedarla e poi la leghi al letto. Per la sua incolumitá...".
Frau Zalinder scattò in avanti afferrando la ragazzina per le braccia e trascinandola via, mentre la poverina si dimena e squittisce rabbiosa, le trecce in cui i suoi capelli biondi sono legati si sciolgono in onde scomposte e gli occhi verdi saettano da una parte all'altra della stanza, cercando una via di fuga. Il suo ritardo mentale é evidente, qualunque altro bambino del Reich non si comporterebbe in quel modo tanto selvaggio e dissennato, pensa la donna, ed è un vero peccato perché fisicamente rispecchia perfettamente l'ideale ariano indicato da Hitler.
Prima che la donna e la bambina scompaiano nel corridoio il doktor Finchermann si rivolge di nuovo all'infermiera "Mi mandi Rudy per favore, per farmi medicare. Chissà con che malattia potrebbe avermi contagiato quella piccola pazza". 
Adeline Zalinder scatta sull'attenti ed esce, alla prima collega che incontra ripete l'ordine impartitole dal primario. Prima di portarla alla camerata assegnatale, la nove, Anneke è fatta entrare in un altro ambulatorio, privo di finester e fornito solo di due porte. L’arredamento è composto di armadietti di metallo satinato, disposti ordinatamente sulla parete di destra.
La Zalinder fa cenno alla giovanetta di spogliarsi completamente quindi l’affida all’infermiera seduta alla scrivania quindi esce dopo aver scambiato poche parole con la seconda donna. Quella si alza e prepara una bilancia su cui ordina ad Anneke di salire, segna su un foglio il peso. Misura la sua altezza e vi scrive il risultato, infine prende una moderna macchina fotografica già caricata con la pellicola. Sistema una sedia al centro della stanza e ordina, con gesti secchi e perentori, ad Anneke di salirvi. Procede a scattare una decina di fotografie, intere e particolari del viso, mani, gambe, poi ripone la macchina. Mentre l'infermiera è voltata la ragazzina scende dalla sedia e resta lì. attendendo di conoscere il suo destino. Nuda, fuori tira vento perché è autunno inoltrato, ha freddo ma cerca di non tremare. Vorrebbe il suo cappotto ma gliel'hanno preso, insieme alla lavagna e ai gessetti, ai suoi vestiti e alle scarpe di vernice lucida bianca. Ha appena intravisto che son stati riposti in uno degli armadietti ma non sa quale: son tutti uguali. Cerca di coprirsi come può con le braccia magre.
Frau Zalinder infine si ripresenta alla nuova paziente e le porge una camicia da notte usata ed usurata, ma che sembra per lo meno pulita. Le fa cenno di indossarla e poi la spinge ancora. L'indumento le è un po' piccolo e stretto, arrivandole a stento alle cosce. "Schnell, schnell", disse con voce cattiva l'infermiera, sospingendola verso la seconda porta, di acciaio temperato e chiusa da un pesante chiavistello. La donna prende una grossa chiave dalla tasca dell'uniforme e la gira, la serratura scatta con un rumoroso clang, che rimbomba. Anneke percepisce le vibrazioni prodotte e fa un passo indietro, finendo addosso alla sua accompagnatrice, che nuovamente le dà uno spintone, quasi facendola cadere. La bimba pensa che non assomiglia per niente all'infermiera Greta, che lavora con il doktor Mainier.
Pochi minuti dopo l'infermiera e la bambina si ritrovano in un ambiente ben illuminato e gioioso per le risate dei giovani ricoverati. Lo stanzone misura una quindicina di metri di lunghezza e poco meno di dieci di larghezza, con grandi finestre che fanno entrare luce e i raggi del sole autunnale. Ospita quattordici bambini tra i sei e i quindici anni d’età.
Zalinder indica ad Anneke un lettuccio, in mezzo ad una figuretta che sembra una bambina, magrissima e dal visetto emaciato. Sembra che non mangi da giorni. Anneke le sorride ma quella si volta dall'altra parte e si abbraccia le ginocchia nascondendovi la faccia. L'altro letto è occupato da un bambino, di non pochi anni più giovane di Anneke, ha il capo bendato e sembra stia dormendo. Anche lui è magrissimo. 
Oltre all'infermiera che l'ha accompagnata nella camerata, la ragazzina nota che ve sono altre tre e un paio di uomini, anche loro con la divisa bianca dell'ospedale. Si aggirano per i letti osservando i bimbi sdraiati e segnando qualcosa sulle cartelle apposte alla testiera. In quel momento la Krankenschwester Zalinder sta riempiendo un modulo appeso al suo letto, riportando i dati ottenuti poco prima. In cima affranca una sua foto, quella che sua madre aveva affidato ad uno degli inservienti dell'autobus quando è partita. É del mese precedente e gliel'ha scattata suo padre in occasione di una festa in casa, sorride ed è felice.
Si mette a letto pur sentendosi benissimo, ma ha già visto all'opera il personale e non vuole essere punita.
Vorrebbe saper leggere meglio di quello che sa e che le permette di distinguere le lettere quando scrive sulla sua lavagna per poter sapere cosa è scritto sulla cartella in fondo al suo letto, si allunga e fa per afferrarla ma un violento spintone di uno degli infermieri la rimanda sul cuscino. L'uomo le urla contro, la faccia arrossata di rabbia e un dito puntato al suo viso. Anneke scoppia in lacrime, non per le brutte parole che quello le ha rivolto, ma per l'impotenza in cui sta affondando e per la nostalgia di casa e della mamma, del babbo e dei nonni, di Dieter. Lei sta bene, non deve stare lì, si ripete di continuo. Invece è chiusa in quel posto bianco, freddo e dove tutti sono seri e maneschi. Quando parlano non la guardano e lei non riesce a capire cosa vogliono. Quindi viene punita.
Si gira nel letto coprendosi interamente, solo una ciocca bionda spunta appena dall'orlo. Piange in silenzio, come ha imparato a fare da piccola, per non far preoccupare la mamma quando si faceva male in giardino. Adesso il suo silenzio è una difesa da quel mondo esterno estraneo e terribile. Sa solo che vuole tornare a casa. 
La terapia, come infine una paziente giovane infermiera le ha spiegato portandole la cena - un leggerissimo brodo quasi insapore - comincia immediatamente e di questa fa parte anche una dieta ferrea, che però le permetterà di stare bene lo stesso. 
Molti dei bambini, nota, nemmeno riescono a terminare la loro misera tazza e alcuni la rifiutano proprio. Un paio di giorni dopo, debole e con la mente offuscata dai morsi della fame, nota che un paio di loro non si sono più svegliati e vengono portati via velocemente. Per tanti che continuano a dormire altri ne arrivano e prendono il loro posto.
Una mattina tocca alla sua vicina di letto, il pallore della pelle è diventato livido e grigio, come le pareti del corridoio che ha visto quando è arrivata e non si muove più. Squittisce dalla paura e si alza per provare a svegliarla, scuotendola ma senza riuscirci. Urla e si agita, allora arriva l'infermiera Zalinder seguita da altri due, vestiti di verde e non di bianco. Sono quelli che portano via i bambini che non si svegliano.
La Zalinder l'afferra per un braccio e la strattona, costringendola a rimettersi a letto, prende una siringa e le fa un'iniezione. Anneke si sente immediatamente stordita e cade in un torpore chimico che le provoca gli incubi. Gli altri piccoli pazienti, troppo deboli per far qualcosa e troppo spaventati per anche solo pensare di provarci restano immobili nei loro lettini. Osservano e tacciono, forse già rassegnati e consapevoli del loro destino.
Velocemente la morticina vien trasportata via, chiusa alla bell'e meglio nelle stesse lenzuola dove ha dormito nelle ultime due settimane. É una di quelle che ha resistito di più Evelina Kumbronich, di anni 10. La sua unica colpa essere una piccola orfana zingara.
Quando si ridesta, dolorante e incapace di pensare correttamente Anneke vede due nuove facce nei letti di fianco a lei, a destra un bambino dai capelli rossi e senza alcuni denti e a sinistra un altro maschietto dalla pelle olivastra e i capelli castani. Prova a salutarli ma si accorge che è legata, sulle labbra di due infermiere che stanno conversando davanti al suo letto riesce a capire che il suo destino è segnato: è pericolosa per se stessa e gli altri. Sente che le vien da piangere ma non riesce, ha consumato tutte le sue lacrime nei giorni precedenti, una per ogni cadaverino portato via nelle lenzuola.
Alla sera ancora il brodo, sempre più chiaro, sempre più insapore. Lo rifiuta. Lo stomaco si ribella per ogni goccia di liquido, le viene da vomitare, sputa bave e brodo sul letto e vien colpita in viso per aver sporcato. "Resterai nel tuo sporco, schifosa", interpreta dalle labbra dell'infermiera Hulrike, la più severa tra quelle che girano nello stanzone..
Non ribatte, come faceva all'inizio, perché non vuole che le facciano l'iniezione. Si limita ad appoggiarsi al cuscino e a chiudere gli occhi. Vorrebbe anche lei non svegliarsi più.
É Amanda Kupfler ad accorgersi del corpicino senza vita di Anneke Heider all'inizio del suo turno, tre giorni dopo da quando la bimba aveva vomitato l’ultima razione di brodo. Il piccolo mucchietto d'ossa giace tra le lenzuola bianche ormai grigio e al principio della putrefazione. Chiama immediatamente gli addetti allo smaltimento per farla portare via. Mentre la portano via recita una breve preghiera per quell'anima infelice che ha trovato infine la pace. Così pensa la giovane infermiera, convinta della bontà del programma T4 come tutti nell’ospedale, mentre torna a dedicarsi ai piccoli ospiti affidati alle sue cure. 

1946 - testimonianza resa al secondo processo di Norimberga da Manfred Herbert Bonsenn riferendosi al caso 459034, solo un numero tra le migliaia di bambini ed adulti finiti nella rete dell’ «Action T4»


4 commenti:

  1. grandissima suggestione mi piace proprio
    Il Professionista

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  2. grazie!!!! Da un autentico professionista del mondo letterario italiano è un grande onore :)))))

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  3. Agghiacciante, letale, perche' affronti un tema terribile ed e' impossibile non venir tirati dentro, quasi violentati. Mio sentimento. Thanks a lot.

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