mercoledì 27 novembre 2013

GHOST STORY


Non avendo molto da fare, spesso mi ritrovavo a guardare fuori dalla finestra della mia stanza, colto da una malinconia e una nostalgia mai conosciuta prima per la vita. L'origine di questi miei sentimenti era dovuta al fatto che da qualche settimana ero ricoverato in questo sanatorio, nei pressi di questo villaggio di montagna.
Mi trovavo in questa amena residenza per curare una brutta tosse, che da mesi mi angustiava. Era stato il mio medico, e buon amico, D. a a consigliarmi un periodo di riposo. Mi aveva assicurato che l'aria fresca avrebbe giovato alle mie malandate vie respiratorie.
All'inizio del mese precedente mi ero presentato, con una lettera di ammissione firmata proprio da D., al Direttore. Giá dal primo pomeriggio potei sottopormi alle cure necessarie per rimettere in sesto i miei bronchi.
Al terzo piano, dove mi avevano sistemato, non vi erano molti altri ospiti: un gruppetto di uomini robusti, che seppi - da una solerte infermiera - essere minatori ospitati per curare uno stadio iniziale di silicosi.
Di notte li potevo udire colpi di tosse con in tono cosí grave da far sembrare la mia quella di un bambino.
Dopo la visita di un bravo medico, mi hanno prescritto una serie di inalazioni, che dovrebbero favorire la mia guarigione.
Come un bravo scolaretto ho eseguito quanto ordinatomi, notando un piccolo miglioramento nelle mie condizioni: sia nella respirazione sia nella dolorosa sensazione che attanagliava il mio petti e causata dagli spasmi causati dalla tosse.
Se continuassi su questa via di guarigione, potrei far ritorno a casa giá il mese prossimo. Durante uno dei nostri ultimi colloqui, il Direttore si raccomandó che smettessi di fumare e di badare meglio alla salute dei miei polmoni.
Senza darmi il tempo di rispondere mi accompagnó alla porta del suo studio e mi fece uscire. Rimasi nel corridoio rimuginando sulle sue parole, con un senso d'angoscia profonda nell'animo.
Mi avviai verso la mia stanza da letto, pronto a cambiare in modo radicale le mie abitudini e cominciare una vita senza vizi. Non solo avrei smesso con il tabacco ma anche con il bere e il far tardi la sera. Avrei, inoltre, fatto lunghe passeggiate per ritemprare corpo e spirito.
Ero in procinto di entrare, quando in fondo al corridoio scorsi una giovane donna, in piedi vicino alla finestra. Sembrava intenta a bearsi dello splendidl panorama della Valle sottostante.
Convinto che fosse una nuova ospite, mi avvicinai per presentarmi e darle il benvenuto.
Man mano che mi lasciavo la porta della stanza assegnatami alle spalle, ai miei occhi l'immagine cominciava a sbiadire e quando raggiunsi la finestra, ero solo a guardare il panorama.
Mi sono sempre considerato un uomo di buon senso e ragionevole, ma in quell'occasione non seppi trovare una spiegazione logica. Con la mente eccitata da questo evento, tornai verso la camera da letto. Prima di entrare lanciai un'altra occhiata. La donna era lá, il viso rivolto alle montagne e ai boschi. Nel mio animo insorse un panico mai provato prima di allora e aprii con veemenza la porta. Mi catapultai all'interno, colto da un violento attacco. In qualche modo riuscii a raggiungere il letto e a sdraiarmi. Tremando per la tosse e la paura chiamai un'infermiera. Quando infine giunse, avevo recuperato un po' di calma ma ero pallido e febbricitante.
Non ebbi il coraggio di dirle cosa avevo visto ma la pregai di chiedere, a nome mio, un colloquio con il Direttore.
Quello stesso pomeriggio mi ritrovai nello studio, vergognandomi appena un poco raccontai quanto mi era accaduto. L'uomo di scienza ascoltó con attenzione. "Avete visto Aliseia. Altri pazienti prima di voi sostengono di averla veduta, a quella finestra". La sua voce, come l'espressione del suo viso era imperturbabile. "Se non sbaglio si é buttata giú da quella finestra qualche anno fa - aggiunse -. Suo marito e alcuni suoi parenti erano morti in un incidente. Lei era stata portata qui perché l'aiutassimo a superare il trauma. Dopo due giorni si buttó, proprio da quella finestra".
Sentii in brivido freddo percorrermi la schiena e la bocca farsi secca.
"Ora che vi osservo con attenzione - proseguí - voi assomigliate molto al marito di Aliseia".
Si alzó e da un cassetto dello schedario entrasse una cartella, da cui tiró fuori una fotografiain bianco e nero. Me la porse. Raffigurava un uomo giovane, seduto su una panchina insieme ad una donna. Ella indossava un abito identico a quello della mia apparizione.
Osservai lui, fu come guardarmi allo specchio. Stessi capelli, baffi sottili, sopracciglia. Incapace di profferire alcunché mi congedai e tornai sui miei passi.
Come era possibile? Ero ben certo di non aver fratelli, o peggio in gemello da cui ero stato separato ancora in fasce. Forse era un mio sosia. Oppure io ero il suo.
Quella strana vicenda mi stava facendo impazzire.
Quando mi appressai alla porta della stanza la vidi di nuovo, mi guardava con dolcezza e mestizia.
Un sudore gelido mi fece accapponare la pelle e, veloce, aprii la porta. Mi chiusi dentro, sentendomi al sicuro.
Decisi di stendermi e cercare di riposare. Mi ripetevo che era tutto frutto della mia immaginazione.
Ebbi un sonno agitato e se sognai, al mio risveglio non riuscii a ricordare nulla. 
L'orologio segnava oltre le 11, l'ora di cena era trascorsa ma non avevo fame. Provavo in senso di inquietudine sempre maggiore. Come se in camera non fossi stato solo, temevo che quella figura di donna evanescente fosse riuscita ad entrare e ora attendesse, acquattata da qualche parte vicino al mio letto.
Per cercare di rinfrancare il mio animo accesi l'abat-jour sul comodino e afferrai il volume di poesie che mi ero portato per passare il tempo. Lo aprii si una pagina a caso e il mio cuore perse piú di un battito quando lessi il titolo "Aliseia".
Respirai lentamente, cercando di recuperare la calma e stupendomi come, dopo quello spavento, il dolore al petto, che mi aveva portato in quel luogo, fosse d'improvviso scomparso.
Per la prima volta da settimane stavo bene e sentii l'urgenza di abbandonare quel luogo di sofferenza. Dovevo subito avvertire il mio amico e farmi venire a prendere.
Mi alzai e recuperai la vestaglia, a passi veloci lasciai la camera e mi diressi verso la sala delle infermiere. Non trovai nessuno ma poco piú avanti trovai una rampa di scale, che non ricordavo di aver mai visto prima, e la percorsi alla velocitá massima consentitami dalle pantofole. Mi trovavo in un'ala del sanatorio dove non ero mai stato ma avevo bisogno di trovare un telefono.
Al termine mi trovai in un corridoio semi buio e in fondo vidi la reception e un telefono.
Mi avvicinai all'infermiera e le chiesi di poter telefonare. Quella mi ignoró e continuó a leggere la rivista che aveva davanti. Glielo domandai di nuovo, con maggior gentilezza ma ancora fece finta di non sentirmi.
Scocciato, afferrai la cornetta e composi il numero del mio amico e medico. La vidi sbiancare di colpo, balzare dalla sedia e correre via urlando che la cornetta si muoveva da sola. Cercai di non farmi influenzare dal bizzardo comportamento della donna e telefonai a D., che dopo un paio di squilli mi rispose. Gli riferii i progressi e il mio desiderio di tornare alla vita di sempre. Con la sua bella voce mi rispose che sarebbe passato il giorno dopo. Rincuorato attaccai e tornai sui miei passi. Avevo bisogno di parlare al Direttore per dirgli che me ne sarei andato il giorno dopo. Mentre procedevo incontrai personale che non avevo mai visto. Nessuno di loro mi degnó di uno sguardo o ricambió i miei saluti. Stupito ed irritato proseguii nella direzione da cui mi pareva di essere arrivato in quell'ala dell'ospedale.
Pensavo di risalire le scale e tornare al terzo piano, dove era la mia camera e l'ufficio del Direttore ma non trovai nulla. Il corridoio sembrava proseguire all'infinito. Sulla destra si diramava un secondo percorso e lo imboccai, un po' timoroso. Senza sapere come dopo una trentina di passi mi trovai nel familiare corridoio del terzo piano. Sulla sinistra la porta del Direttore. Senza bussare entrai e lo trovai alla scrivania. Senza preamboli gli diedi la notizia della mia imminente partenza. Avevo intenzione di esprimere le mie rimostranze per il comportamento poco gentile del personale quando mi volsi e la voce mi morí sulle labbra. In un angolo vidi la donna della finestra, Aliseia. Le parole della poesia mi sovvennero: "Aliseia, creatura di brezza e primavera/luce di gioia e eterna felicitá del mio cuore..."
Spostai lo sguardo da lei al medico e di nuvo a lei.
"Amor, amor mio. Insieme di nuovo, finalmente",  disse con una voce musicale, avvicinandosi. Mi ritrassi, ero incredulo. Non era vero, si trattava di uno scambio di persona.
Il dottore scosse la testa. "Capita che quando qualcuno molto attaccato alla vitarifiuti di prender coscienza della sua condizione di morto. Dovremo rimediare".
Aggiunse che i miei dolori e la mia tosse derivavano da quello.
Morto? Come facevo ad essere morto? Mangiavo, parlavo con le persone e poco prima avevo telefonato e parlato con il mio amico.
Il Direttore scoppió a ridere. "Questo piano del sanatorio é come un limbo. Il vostro corpo é nel sotterraneo. Quando la vostra coscienza si é risvegliata in questa forma, che vi sembra solida, siete giunto qui. Noi siamo qui per questo: accompagnarvi alla consapevolezza. E per questo abbiamo fatto venire qui la vostra Aliseia.
Urlai che non era possibile, che era un pazzo. Devi per uscire ma la porta era scomparsa.
Ogni fibra del mio essere continuava a dubitare delle parole dell'uomo, ma la mia mente cominciava a fornirmi immagini plausibili, a conferma di quella storia.
Mi accasciai su una sedia e mi arresi all'evidenza.

 Il mattino seguente il dottor D varcó la soglia del sanatorio, chiedendo del suo amico. Un'infermiera lo scortó al terzo piano, dove trovó il Direttore ad attenderlo.
"Brutte nuove - esordí -. Il vostro amico stanotte si é tolto la vita. Abbiamo trovato questo libro".
Il medico prese il volume e lo aprí, all'interno trovó un biglietto in cui il suo amico, in poche righe, diceva di dover tornare dalla sua amata Aliseia.
"Chi sarebbe?", domandó perplesso. Il Direttore gli indicó la poesia e il medico lesse il titolo, "Aliseia", poi scorse i versi e voltó pagina.
Trovó un breve scritto in cui si diceva che l'autore era morto in circostanze misteriose mentre si trovava in in luogo di cura.
"Per voi é ora di andare, qui é tutto a posto", lo invitó il Direttore.

L'uomo, pallido e spaventato dall'intera situazione, si fece condurre verso l'uscita, non resistette e si voltó indietro: vicino alla finestra in fondo al corridoio, per una frazione di secondo, vide il suo amico, abbracciato ad una donna, con il viso rivolto alla vallata.

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