martedì 5 febbraio 2013

"LA MIA FORZA"

Quella sensazione di panico, così simile al mal di stomaco, si impadronì di nuovo di Veronica. Ormai non passava giorno senza che la morsa le stritolasse le viscere e le ottenebrava il cervello rendendole difficile concentrarsi.
Sdraiata sul letto, in posizione fetale, desiderava solo scomparire: era troppo il malessere che dalla mente si diffondeva all'interno del suo corpo, diventando un dolore sordo e persistente. Quasi una voce che le ripeteva in ogni momento della giornata le stesse frasi, le stesse parole.
Lo spleen l'avevano definito i poeti francesi della fine dell'ottocento, che aveva appena studiato a scuola, e se lo sentiva appiccicato addosso. A sedici anni se ne sentiva più del triplo.d
Veronica, con lentezza, si alzò e si parò davanti allo specchio grande, appoggiato alla parete. I capelli lunghi le cadevano sul viso opalescente, si spogliò silenziosa piegando con accuratezza millimetrica la felpa, la maglia a maniche lunghe, i leggins che indossava. Restò così, solo con la biancheria, davanti alla sua immagine.
La voce, ancora, si fece prepotente nella sua testa, mentre l'acidità le saliva fino in bocca. Il sapore di biancheria le provocò un conato di vomito ma lo ricacciò indietro con un respiro profondo. Lo stomacò brontolò per la fame ma Veronica scelse di ignorarlo. Erano settimane che faceva così. Ignorava tutto: le discussioni in casa, i silenzi di suo padre, la noncuranza di sua sorella Martina verso di lei. Si concentrava solo sul far finta di niente, e sul calcolo maniacale delle calorie ingerite.
Si tastò le costole a vista, il solco sottile della sua pancia piatta, la sporgenza delle anche. Si chiese quale fosse il suo peso ora. Se avesse perso ancora qualche chilo per assomigliare ad una ragazza e non più a una balenottera. Questo le ripeteva sempre la voce nella sua testa. Oltre alle cattiverie, messe in giro da alcune sue compagne di classe, all'inizio di quel trimestre. Il pensiero di quelle frasi le causò un secondo conato, che non riuscì a bloccare. Si tappò la bocca con la mano e corse in bagno, senza preoccuparsi di coprirsi. Sbatté la porta e si ritrovò con la faccia sul water, a tossire e sputare. Come se con quel gesto volesse espellere non solo bave e bile ma anche tutto il suo disagio interiore.
Restò qualche minuto abbandonata sul pavimento, ancora in preda agli spasmi, troppo debole per muoversi. Era ancora accasciata quando qualcuno le mise un accappatoio addosso e l'aiutò a tirarsi in piedi.
"Che cavolo fai?", le disse Martina, sorreggendola e scostandole i capelli dal viso. Veronica guardò sua sorella, il viso scarno senza espressione. "Ma sei impazzita?", le chiese ancora la sua gemella. La ragazza guardò il viso paffuto identico al suo e si strinse le braccia intorno al torace, come se volesse farle penetrare. Sentì le ossa attraverso la pelle sottile. Un contatto che la rassicurò. Martina la scosse, non era una che andava per il sottile, ma non ottenne risposta e alla fine si risolse di aiutarla a tornare in camera.
"Non capisco cosa ti spinga a ridurti così", aggiunse mentre Veronica le sbatteva la porta in faccia. Martina attese dietro la porta chiusa sperando che la richiamasse ma quando si rese conto che la gemella aveva alzato un muro anche nei suoi confronti scese per la cena.
In camera sua Veronica aveva recuperato i vestiti ed era tornata in bagno. Aveva affrontato la prova bilancia: quaranta chili. Che per il suo metro e sessantacinque di altezza la rendevano sottopeso di una quindicina di chili. Sospirò e quasi si permise un sorriso. Era una piccola vittoria, si disse rivestendosi e tornando in camera. Una piccola vittoria nella sua lotta personale per raggiungere quella perfezione che le avrebbe permesso di avere requie dalla vocina nella sua testa, sebbene non avrebbe mai sostenuto una convinzione del genere in pubblico.
Si sedette al computer e l'accese, lo stomaco gorgogliò e lei si risolse a masticare un chewing-gum per placarlo e riuscire a concentrarsi. L'idea di mangiare, e non solo l'atto fisico, le provocava dolori e spasmi, nel medesimo modo in cui all'inizio le era capitato con i lunghi periodi di digiuno. Nonostante l'inganno il suo fisico si ribellò e alla fine si costrinse a scendere a prepararsi il suo solito infuso di tè verde per placarlo. La famiglia era riunita a cena e ascoltava le notizie al telegiornale, il suo posto preparato come sempre. Passò in silenzio e si preparò la bevanda. Sua madre non resistette e le chiese se voleva qualcosa. "No grazie", rispose senza guardarla e stringendo la bottiglia tornò di sopra.
Si collegò al suo blog e cominciò a scrivere un nuovo post, ogni tre righe bevendo lunghe sorsate ogni tre righe. Nella sua testa si diceva che il tè come le avrebbe permesso di smaltire i liquidi in eccesso, sciolto i cumuli di cellulite che deturpavano le sue cosce (tutte cose che la sua sincera amica Ana le ricordava, perché Ana non le mentiva e le voleva bene. Era la sua forza, Ana).
Di getto riportò nel post il resoconto della giornata e della serata, di come fosse stata trovata da sua sorella, mischiando rancori, sensi di colpa, insicurezze sul non riuscire a farcela, buoni propositi per la settimana, qualche indicazione di "dieta" a casaccio pescata in giro per la rete. Quello di Veronica era solo uno dei milioni di blog "thinspiration" che potevano essere trovati nel mare magnum di internet. Un piccolo mondo sperduto nel cyberspazio in cui l'anima martoriata poteva trovare sfogo e al contempo sostegno dalle altre migliaia di ragazze - e ora anche molti ragazzi - nelle sue stesse condizioni. La bottiglia di tè era quasi a metà. Di sotto stavano guardando uno di quei reality che addormentavano la mente, pensò Veronica mentre andava in bagno, per l'ennesima volta. Si chiuse a chiave e sollevò l'asse. Deglutì sentendo già il sapore ferroso ed acidulo sulla lingua. Al punto in cui era arrivata non doveva nemmeno più procurarselo il vomito, bastava il pensiero di mangiare e il suo stomaco si ribellava.
Come sempre ci fu una prima sensazione di fastidio e di occlusione, seguita da un bruciore che si trasformò in un rantolo strozzato mentre sentiva il liquido bevuto poco prima percorrere a ritroso l'esofago.
Non si sarebbe mai abituata a quella sensazione, ma la sopportava per il suo proprio bene, era uno dei prezzi da pagare per essere magra e bella. Si sentiva parte di un circolo esclusivo. Veronica si lavò i denti e se ne tornò in camera, prese il tappetino da yoga e fece qualche serie di addominali poi tornò a dedicarsi al blog e alla ricerca di qualche immagine thinspiration. Uno dei suoi passatempi preferiti, insieme al cercare le foto dei "before/after". Prima o dopo avrebbe anche lei pubblicato la sua, quando avrebbe raggiunto finalmente un peso decente.
Lesse i commenti e rispose a quasi tutti, sentendosi coccolata dalle parole di perfette sconosciute. "Ti capisco SkinnyVery", le scriveva MaiTroppoMagra, "Anche io mi sto sforzando per essere brava e mangiare il meno possibile. Non è per niente facile e ora mia madre si è messa in testa di chiudermi in clinica ma piuttosto che farmi rinchiudere scappo di casa".
Veronica le espresse la sua sincera partecipazione morale alla tragedia incombente. "Ti sono vicina tesoro e sappi che mi puoi sempre contattare, la mia mail è SkinnyVery@gmail.com. Per te ci sono, se non ci aiutiamo chi lo fa, in questo mondo che se ne frega di noi ma ci vuol dire come dobbiamo essere? Ora vado a dormire perché domani mi alzo presto per andare a correre e voglio dormire almeno sei ore, altrimenti si blocca il metabolismo e non si bruciano più grassi".
Spense il pc, si mise il pigiama e andò a dormire. Sognò di sfilare sulle passerelle mondiali, indossando abiti che forse sarebbero andati bene a una bambina di sette anni.
La sveglia suonò alle 4 e Veronica, controvoglia all'idea di abbandonare il tepore del letto ma sospinta dalla vocina persistente di Ana, si alzò e indossò i vestiti da corsa, che teneva nascosti nell'armadio. Uscì, la notte era nel suo pieno fulgore, e si mise le scarpe. Rabbrividì per il freddo ma si convinse a muoversi quando Ana le ricordò che avrebbe bruciato più calorie perché il corpo avrebbe avuto bisogno di maggiore energia per ritornare alla temperatura normale.
Erano le 6.20 quando rientrò in casa, sudata ed infreddolita. Sentiva la gola pizzicare ed emise un paio di colpi di tosse salendo le scale. Per paura che qualcuno potesse averla sentita Veronica fece un ultimo sforzo e corse in camera sua, rintanandosi sotto le coperte per una mezz'ora di riposo prima di alzarsi ed andare a scuola.
Implacabile la sveglia la ridestò e per un secondo Veronica pensò di restarsene a casa, tanto più che si sentiva bruciare ma quella mattina aveva compito in classe e non poteva perderlo, rovinandosi la media elevata che aveva raggiunto da quando aveva cominciato la dieta. E per questo aveva scatenato le invidie delle sue compagne di scuola, che ora non le parlavano più e la snobbavano.
"Non ho bisogno di loro", si ripeteva ogni giorno mentre trascorreva l'intervallo da sola in classe, appoggiata al muro a pensare a nuovi modi per perdere peso.
Si trascinò fino in bagno e fece per aprire la porta ma la trovò chiusa. Dall'interno proveniva un misto di musica caraibica, la preferita di Martina.
Bussò ripetutamente finché sua sorella emerse da una nuvole di vapore. La scostò buttandola fuori, incurante del fatto che fosse scalza e gocciolasse ovunque e si chiuse dentro. Spense il player di Martina e tirò fuori il cd, sostituendolo con uno dei suoi. Una triste musica di pianoforte si diffuse per il bagno mentre si spogliava ed entrava in doccia, dopo averla ben ripulita dai residui di bagno schiuma.
Si lavò accuratamente strofinandosi la pelle con un guanto di paglia poi si fece due shampoo, si passò il balsamo e poi la crema mentre in testa Ana le ricordava di pesarsi. Riuscì a scacciare quelle parole mentre godeva del delicato massaggio della doccia tiepida sulla pelle. Prima di uscire si pesò, lo schermo della bilancia lampeggiò sul 40. Non era scesa di un etto. Nonostante il digiuno, nonostante le due ore di corsa, nonostante bevesse esclusivamente quel tè verde senza alcun tipo di zucchero. Nonostante tutti i suoi sforzi. Si sentiva, era anzi, era una fallita. Nella sua mente Ana sghignazzò.
Veronica ebbe un moto di rabbia e se ne andò in camera con aria truce, spostando malamente Martina che stava ancora aspettando fuori della porta di poter finire di risciacquarsi i capelli. "Ma che modi!", le urlò dietro e ottenne come sola risposta il dito medio scheletrico della sua gemella.
In camera Veronica si decise a guardarsi allo specchio e prese anche il telefono, una foto poteva anche farsela, senza far vedere il viso ovviamente, così per vedersi da un'altra prospettiva. Si mise davanti, con indosso solamente slip e reggiseno e fece qualche scatto. Non attese nemmeno di guardarli ma si vestì, ignorando il dolore allo stomaco causato dalla fame. Era in ritardo.
Si infilò i jeans, ignorando volontariamente il fatto di riuscire, senza sforzo, a tirarli su abbottonati, un paio di ankle boots con le zeppe e un lungo maglione nero. Si diede una veloce pettinata ma di truccarsi non c'era tempo e così prese la borsa e corse fuori di casa. Prima passò dalla cucina e prese una bottiglietta d'acqua: quello sarebbe stato il suo cibo fino a pranzo.
Senza salutare uscì di casa dirigendosi alla fermata del bus. Guardò l'orologio che le ballonzolava intorno al polso ossuto: aveva i minuti contati al suono della campanella.
"Sono preoccupata per Veronica", Adele sospirò sorseggiando il caffè e lanciando un'occhiata al marito. "Mi hai sentito?", aggiunse con voce alterata.
Giorgio sollevò lo sguardo dal giornale. "Si ti ho sentito, tesoro ma è solo una fase, poi le passerà. Veronica è sempre stata piuttosto infantile rispetto a Martina". Il solito modo che aveva per interrompere ogni conversazione riguardante Veronica. Adele fece per aggiungere qualcosa ma alla fine preferì tacere, avrebbe chiesto alla sua amica Micaela, che aveva figli già all'università e avrebbe saputo cosa fare e quale sarebbe stato il modo migliore di parlarle.
Intanto Veronica stava combattendo con una traduzione di latino, il cervello si era come spento e faceva fatica anche a mettere a fuoco le parole. Sembrava che ogni parte del suo corpo fosse andata in stand by. Una fregatura. Dovette ammettere che forse quella mattina avrebbe dovuto mangiare qualcosa, ma non ce n'era stato il tempo. Alzò la mano e chiese il permesso di andare un momento in infermiera lamentando un mal di pancia piuttosto intenso e mal di testa. La prof. Vernani la guardò da dietro gli occhiali e alla fine glielo concesse ma chiese la consegna del compito. "Lo terminerete nelle prossime due ore signorina Franceschini. Salterete la lezione di ginnastica e quella di arte, parlerò io con le insegnanti", le disse mentre lei usciva, ondeggiando per la debolezza e stringendosi lo stomaco con le braccia. Scompariva nel maglione e le gambe, inguainate nei jeans neri, sembravano ancora più magre. Mentre percorreva il corridoio a passettini, la testa china e svuotata, mise a fuoco le parole della professoressa: non avrebbe potuto allenarsi anche durante ginnastica e avrebbe perso arte, insieme ad inglese e italiano una delle materie che preferiva.
Qualcuna delle sue compagne sogghignò ma fu zittita da uno sguardo severo della prof. "Concentrazione ragazze. Concentrazione" e batté le mani per riportarle all'ordine.
Dopo un tempo che le sembrò interminabile Veronica raggiunse l'infermeria e bussò, entrando subito dopo. L'infermiera le venne incontro, solerte. "Non mi sento bene. Ho mal di stomaco. Questa mattina ero in ritardo e non ho fatto colazione..penso che sia solo un calo di pressione". La donna la guardò, sotto gli occhi erano comparse delle occhiaie e i capelli biondi erano sfibrati. Quella ragazza vestita di nero, che stava davanti a lei traballando nei suoi stivaletti con le zeppe, aveva saltato ben più di una colazione. Avrebbe voluto dirle che si stava rovinando ma la politica della scuola era molto rigida sulle intromissioni nella vita privata degli studenti.
"Vuoi un tè e qualche biscotto?", le chiese invece. Veronica sorrise e disse di si. Ana le avrebbe ripetuto fino alla nausea che era una debole e non era capace di perseguire i propri obiettivi ma in quel momento niente le sembrava più allettante di quella proposta. La donna con la divisa bianca si allontanò per prenderle quanto le aveva offerto. "Siediti intanto, cara. Sembra che tu stia per svenire da un momento all'altro", la invitò indicando una sedia davanti ad un tavolino dal ripiano di formica. Veronica ubbidì in silenzio. Ogni fibra del suo essere richiedeva nutrimento. Quando infine l'infermiera ritornò con un vassoio si buttò letteralmente sul cibo e la bevanda consumando tutto nel giro di pochi minuti. "Brava ragazza", le disse la donna carezzandole la testa. Veronica dovette imporsi di non scostarsi, non sopportava di essere toccata, soprattutto dagli estranei.
"Adesso stenditi una mezz'oretta, in attesa che cominci la digestione. Hai tutto il tempo per tornare in classe". Veronica si lasciò guidare al letto e si distese, aveva sonno e si sentiva debole. Chiuse gli occhi, scivolando in un mondo senza sogni.
La ridestò la campanella dell'intervallo, quaranta minuti dopo che si era assopita e si trovò il viso di sua sorella a fissarla. "Cosa credevi di fare?", l'aggredì Martina. Sentendosi ritemprata sia dal cibo che dal sonno ristoratore Veronica gettò via il lenzuolo con cui l'infermiera l'aveva coperta e si alzò, parandosi davanti alla sorella. Con indosso i tacchi la superava di qualche centimetro e l'altezza era accentuata dalla sua magrezza. "Nulla. Ero in ritardo stamattina e non ho fatto in tempo a fare colazione. Adesso sto bene. Di certo non puoi capire come ci si sente viste le scorte di grasso che ti porti addosso". E senza aggiungere altro se ne andò. Martina fece per inseguirla ma fu fermata dalla sua amica Ginevra e distratta con una serie di domande sulla traduzione di francese.
Il senso di colpa per i biscotti ingeriti prima cominciava ad affiorare e aveva bisogno di stare sola per pensare ad un modo di espellere le calorie ingerite. Non erano nemmeno biscotti ipocalorici o ricchi di fibre ma pieni di carboidrati e zuccheri. Incredibilmente Ana non comparve con le sue solite recriminazioni e ciò la preoccupò. Quasi correndo, per quanto le zeppe glielo permettessero, tornò in classe e si presentò alla prof. Vernani. "Eccovi, spero che stiate bene ora signorina Franceschini", le disse, acida come sempre. Le diede il foglio, le indicò di prendere borsa e vocabolario e di seguirla. "Recupererete il compito in un'aula separata in modo da non avere distrazioni". Veronica non disse nulla, lieta soltanto di non aver perso quell'opportunità. Fallire quella verifica le avrebbe rovinato la media e quello avrebbe portato i suoi genitori a drastici provvedimenti. L'ultimo pensiero vagante che ebbe non appena fu lasciata sola e prima di concentrarsi sulla versione fu che quella pazzesca giornata sarebbe diventato un post bellissimo e pieno di suggestione sul suo blog. Sarebbe stato davvero un insegnamento anche per le altre sue amiche virtuali.
Grazie alle energie del riposino inaspettato e dei biscotti non le fu difficile tradurre il passaggio delle Catilinarie di Cicerone. Era un autore che apprezzava molto e si era letta, nella traduzione italiana, parecchie delle sue opere e quindi sapeva di cosa stava trattando. Martina, che era più appassionata di scienze, l'aveva definita una secchiona senza speranza. Allo scadere della seconda ora tornò la Vernani e le chiese il foglio. Con un sorriso Veronica glielo consegnò poi chiese, "Posso tornare in classe. Adesso c'è lezione di inglese e non vorrei perderla". La prof. le fece cenno di uscire mentre dava una scorsa alla traduzione e poi la infilava in mezzo agli altri compiti. Pur non gradendo la piega che la vita personale di Veronica Francescini stava prendendo non poteva negare che era un'eccellente allieva, almeno nelle sue materie. Il resto non era affar suo, in fondo.
Veronica bussò alla porta della sua classe e attese che Miss Jarnel le dicesse di entrare. Sperava che la Vernani avesse spiegato alla professoressa di inglese il perché del suo ritardo, in modo da non dover dare troppe spiegazioni.
La Jarnel la invitò a tornare al suo posto senza chiedere alcunché e di questo la ragazza le fu grata. La lezione cominciò e Veronica fu solerte nelle risposte quando interpellata e si prese anche un complimento per la pronuncia. E la prof. di inglese era nota per essere parca ad elargire complimenti.
L'ultima ora passò in fretta e Veronica fu colta impreparata dal suono della campanella, mentre le altre sue compagne avevano già preparato borse e zaini lei ancora doveva riporre - secondo il suo ordine maniacale - astuccio quaderno e diario.
Fu l'ultima ad uscire salutando l'insegnante, che la guardò con un'espressione di preoccupazione che l'adolescente scelse di ignorare.
Sulle scale fermò sua sorella, che stava andando a pranzo con Ginevra, prima del rientro pomeridiano per seguire una classe sperimentale di chimica. "Non una parola", le intimò con fare minaccioso sventolandole davanti l'indice ossuto. "Non una parola", ripeté allontanandosi lungo lo scalone di marmo. Doveva trovare un modo per non tornare a casa e quindi riuscire a saltare il pranzo, doveva prima di tutto smaltire quanto ingerito quella mattina. Poteva andare a correre al Valentino, la giornata era tiepida e aveva con sé scarpe e tuta. Un'ora di corsa poteva essere un inizio, pensò mentre con passo deciso si dirigeva verso il grande parco al centro di Torino.
Si cambiò nei bagni, rabbrividendo e tossendo, quindi si mise a fare stretching per riscaldare i muscoli. Cominciò, come al solito, con una corsa leggera per migliorare la resa e per fare in modo che il corpo si abituasse alla temperatura. A quell'ora l'area verde era deserta e Veronica si godette quell'inaspettata sessione di allenamento più del solito. Si disse che sarebbe tornata spesso a correre al Valentino, era un luogo che le dava una certa serenità.
In un bagno di sudore tornò a prendere la sua roba e si infilò il cappotto. Sul display dello smartphone comparivano sette telefonate di mamma e due sms di Martina. Niente da suo padre. Lesse i messaggini, che le comunicavano l'ansia materna nel non sapere dove fosse finita e infine si decise a tornare a casa. Lungo il tragitto verso la fermata del bus fu scossa da brividi e da un accesso di tosse piuttosto violento. Sorrise al pensiero di essere sul punto di ammalarsi, così avrebbe avuto una scusa senza possibilità di obiezioni al non voler mangiare.
Dovette aspettare quasi venti minuti l'arrivo del bus e quando salì sul mezzo aveva mal di testa e tremava. Era paonazza quando entrò in casa e trovò sua mamma ad attenderla, ci mancava il matterello e sarebbe stata identica alle mogli delle barzellette. "Dove sei stata?", le chiese con un misto di preoccupazione e rabbia. Non sapeva più come comportarsi con quella figlia.
"Penso di avere la febbre", rispose Veronica togliendosi il cappotto e salendo le scale. Indossava ancora la tuta e le sneakers. Adele le si avvicinò e le toccò la fronte madida di sudore. Bollente. "Vai a metterti a letto, ma prima fatti una doccia. Puzzi come se avessi corso per ore". "Oggi c'era ginnastica e la prof ci ha fatto fare un percorso da guerra", fu la pronta risposta della ragazzina. "Vai a metterti a letto, ti preparo qualcosa di caldo", ripeté Adele ma Veronica le chiese "Mi porti il mio tè preferito, per favore". Certo non l'avrebbe rifiutato, visto che era malata.
Mentre si faceva la doccia lavando via il sudore dal corpo Veronica pensava a come sarebbe stato facile non mangiare nei giorni seguenti. "La fai sempre facile tu!", Ana riapparve con prepotenza e quasi la fece sobbalzare. "Si vede come sei capace di resistere per raggiungere i tuoi obiettivi. Forse sarebbe meglio se ti pesassi, con quello che hai ingerito oggi chissà di quanto schizzerà la bilancia".
Veronica deglutì e, completamente nuda, salì sulla bilancia ma sul display comparvero ancora 40 chili. In un certo senso si sentì sollevata, perché nonostante lo sgarro di quella mattina non era aumentata, e in un altro delusa, perché nonostante la corsa non era calata. Era come se il suo organismo si rifiutasse di lasciar andare il grasso che ancora aveva addosso e di scendere sotto la soglia dei quaranta chili.
La ragazza andò in camera desiderando scomparire e diventare eterea come un fantasma. Dalla borsa prese il suo quaderno segreto e scrisse velocemente alcuni appunti, che quella sera avrebbe riportato nel suo blog. Controllò la mail sullo smartphone ma ricevette solo notifiche di libri e shopping on line. Aprì un'app di gioco, una specie di tamagotchi, e vi si dedicò fino a che sentì sua madre avvicinarsi ed aprire la porta. Finse di essere stremata, cosa che non era del tutto lontana dalla realtà, e di stare quasi per addormentarsi. Adele le mise la bottiglia di tè sul comodino e le passò nuovamente la mano sulla fronte, sempre più calda. "Hai provato la temperatura?", le chiese. "No", le rispose Veronica "Ma penso che sia alta. Mi sento stanchissima e come se avessi le ossa rotte". "Più tardi chiamerò il dottore, adesso riposa". le disse uscendo.
Era nel pieno di un sogno fenomenale in cui pesava 35 chili quando sua madre la scosse e accese la luce. Erano le sette di sera e si sentiva male. "É arrivato il dottore a visitarti", le disse aiutandola a mettersi seduta. Il pigiama, un regalo di Martina per natale, le cadeva addosso e lasciava intravedere le ossa dell'omero. Il medico entrò con fare gioviale ma gli bastò un'occhiata a Veronica per comprendere che la situazione era più grave di una banale influenza.
La visitò, evitando di commentare la sua magrezza, raccomandandosi riposo per un paio di giorni e un'alimentazione leggere e ricca di liquidi. "Presto sarai di nuovo in piedi", le disse uscendo. Veronica sprofondò tra le coltri e accese la tv, cercando qualche programma decente con cui passare il tempo.
Adele, sollecita, accompagnò il medico di famiglia fino all'ingresso ma questi, invece di prendere il cappotto e andarsene, si schiarì la voce. "Posso parlarle signora, a lei e a suo marito". Più che una richiesta sembrava un ordine, ma detto in modo garbato. Adele si portò la mano alla bocca e chiamò Giorgio, ma prima spedì Martina a far compagnia alla sorella. Non voleva che udisse se c'erano spiacevoli novità.
Fece accomodare il medico in salotto e si sedette di fianco al marito, prendendogli di forza la mano. "Ciò che sto per dirvi non è affatto facile, né piacevole ma ritengo, in qualità di medico di famiglia, che sia mio dovere aprirvi gli occhi sulla condizione di Veronica". Tacque, per far decantare le parole. Negli ultimi tempi di quei discorsi ne aveva fatti tanti, troppi. Sembrava un'epidemia. "Veronica soffre di disturbi alimentari", senza giri di parole diede forma a un sospetto che da qualche settimana attanagliava Adele. "In particolare lei soffre di anoressia, ovvero rifiuta il cibo per raggiungere un non meglio precisato ideale di bellezza grazie alla magrezza. Le origini di questo disturbo sono, per lo più, psicologiche e nascono da un disagio nell'ambiente della ragazza".
Adele fulminò il marito con lo sguardo ma Giorgio non diede segno di essersene accorto e si limitò a fissare il dottore. "Ritengo anche, da quel poco che ho potuto vedere mentre la visitavo, che sia ad uno stadio avanzato di denutrizione. Questa situazione potrebbe portare a conseguenze molto gravi e il mio consiglio è di farla ricoverare immediatamente in ospedale, dove c'è un reparto apposito per ragazze come lei. Sarebbe seguita giorno e notte".
Giorgio si accese una sigaretta, come se la notizia del dottore non lo riguardasse, mentre Adele si lasciò andare ad una crisi di pianto. "Si. Si. Chiami subito per favore". Avrebbe voluto gridare al marito che era sua la colpa, della sua indifferenza e freddezza verso la figlia ma non vi riuscì. Anche lei aveva le sue colpe.
Il medico compose il numero e parlottò qualche minuto con il suo collega. "L'ambulanza arriverà tra un'ora. Andate a parlare con Veronica e spiegatele cosa succede. É giusto che sappia, sebbene sia un ricovero coatto", spiegò. Adele si incamminò al piano di sopra ma Giorgio restò a fumare, "Non vieni?", gli domandò in lacrime. "Basti tu", rispose l'uomo.
Dalla camera di Veronica non giungeva un suono, forse si era addormentata - pensò Adele - ma quando entrò la trovò al computer, che aveva spostato sul letto, intenta a scrivere il suo desiderio di diventare trasparente. Ebbe la voglia di abbracciarla e consolarla ma fu travolta dalla paura di una sua reazione negativa. Si limitò a sedersi sul letto e senza preamboli le comunicò che sarebbe stata ricoverata per essere aiutata a superare questo suo desiderio di autodistruzione e ritornare ad essere normale come era stata prima.A nulla valsero le urla, i pianti e le promesse che fece Veronica nell'ora successiva. Adele le disse che era per il suo bene e che sarebbero andati a trovarla spesso.
Il destino si stava abbattendo su di lei senza alcuna pietà, ma la ragazzina decise che avrebbe combattuto sino alla fine, sino allo sfinimento per impedire che qualcuno la separasse dalla sua unica vera amica, dalla sua forza. Nessuno avrebbe potuto separarla da Ana. Nemmeno la morte.

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