martedì 28 gennaio 2014

HORKAN'S REVENGE (mai fidarsi degli estranei)

Le acque dell’oceano erano tiepide, la corrente dolce e lasciarsi trasportare da essa una delizia. Lamantina pensava così mentre nuotava sul dorso, le braccia dalla carnagione perlacea sollevate appena sopra il pelo dell’acqua. La sensazione dello sciabordio sulla pelle le procurava brividi di piacere. Chiuse gli occhi e diede un lieve colpo di coda. 
Erano giorni lieti quelli: il sole scaldava la terra e dalle profondità marine si poteva salire verso la superficie e trascorrere qualche ora con la testa fuori dall’acqua. Alcuni si avventuravano fuori dall’acqua, strisciando sulla sabbia le loro lunghe code color argento per raggiungere gli scogli e bearsi di quel tepore prima di tornare nelle loro dimore tra gli anfratti oceanici, nascondendosi dai grandi predatori. Laggiù la luce non riusciva a giungere e vivevano in un ambiente freddo e oscuro, i loro occhi si erano adattati a quei luoghi nei lunghi secoli trascorsi da quando il primo gruppo dei loro progenitori si erano immersi per sfuggire agli sconvolgimenti terrestri. Le cronache tramandate erano abbastanza chiare, in quei tempi lontani i loro antenati era profondamente differenti da loro, fisicamente. 
Lamantina diede una seconda spinta e inarcò la schiena, immergendo completamente prima la testa poi il resto del corpo e compiendo una giravolta per girarsi. Cominciò a nuotare veloce, dall’acqua trasparente si scorgeva solo il suo profilo e una piccola pinna color perla.
Intorno a lei i capelli si muovevano in onde scomposte. Andava molto fiera della sua chioma color verde acqua, che insieme alla pelle candida e alla coda color argento scuro le permetteva una certa mimetizzazione tra le rocce e la vegetazione dei fondali.
Procedeva spedita, pensando di raggiungere un gruppo che sapeva essersi diretto verso un isolotto per trascorrere qualche ora al sole prima di andare a caccia di pesci.
Aumentò il ritmo delle pinnate, utilizzando le braccia come remi, immersa nei suoi pensieri. Dal nulla una figura comparve al suo fianco. Lamantina si fermò di botto, spaventata al pensiero che potesse essere qualche predatore. Anche l’ombra si fermò. Con un colpo di coda la ragazza salì verso la superficie, quello dietro. Emerse e si guardò intorno cercando di scorgere qualche segnale dell’imminente attacco ma, invece, incontrò solo gli occhi neri di un giovane. Lamantina si scostò con timore mentre l’altro non si mosse. Da sotto l’acqua sembrava sorridere e Lamantina intravide una fila acuminata di denti. 
Fece per allontanarsi ma il misterioso giovane la seguì, nuotandole al fianco senza difficoltà. Percorsero non più di qualche metro, alla fine Lamantina si fermò e si voltò verso di lui allungando un braccio per impedirgli di farsi più vicino.
«Cosa vuoi da me? Vattene. L’oceano è grande». Aveva paura. Non aveva mai visto un abitante dell’oceano come quel misterioso giovane uscito dal nulla. Era più muscoloso ed alto rispetto agli uomini che conosceva. L’espressione del suo viso era anche simpatica, quando non metteva in mostra quella sua chiostra di zanne. Il naso non era schiacciato come la maggior parte di quelli come loro ma a punta e la pelle era simile alla sua. Aveva capelli bianchi, che scendevano ai lati del viso in ciuffi dritti. I muscoli del torace guizzavano ad ogni movimento di coda. Non aveva mai visto una pinna caudale come quella: era lunga e liscia e senza squame, con una pinna caudale oblunga invece che piatta con una membrana finale come la sua. La parte interna era più chiara di quella dorsale. «Sei bella», disse quello, storcendo la bocca. Lamantina si sentì avvampare a quell’affermazione. Parecchie volte le era capitato di sentirsi fare quel complimento, ma non in modo così aperto e soprattutto mai da uno sconosciuto. Rimase senza parole e quello, da parte sua, non aggiunse altro.
La sirenide sorrise a sua volta, ancora timorosa che quello strano uomo, così diverso da quelli della tribù di cui faceva parte, potesse farle qualcosa di male.
«Horkan», disse l’uomo pesce indicandosi. Aveva una voce gutturale e profonda. «Lamantina», rispose lei, modulando le alte note della sua. Gli occhi cominciavano a dolerle per la luce e fece cenno all’uomo di seguirla mentre si inabissava.
Si lasciarono scivolare sotto la superficie fino a che si ritrovarono in un luogo buio e fresco. Si osservarono con attenzione. Più Lamantina lo osservava più scopriva di non averne paura, anche solo per prudenza. 
Cominciarono a nuotare vicini, sfiorandosi di tanto in tanto con la punta delle rispettive code. La ragazza si chiese se anche lui poteva utilizzare quello che le cronache definivano come «telepatia» oppure no. Era un sistema che permetteva loro di comunicare senza produrre un suono. Molto comodo nelle situazioni di pericolo o durante la caccia.
Nuotarono per molto tempo e infine giunsero vicino ad una striscia di terra rocciosa, che confinava con il territorio abitato dalla tribù di Lamantina. Le leggi proibivano di spingersi oltre, perché le antiche storie sostenevano che in quelle zone, tanto in mare quanto sulla terraferma, vivessero orrende creature.
Horkan indicò un vago punto all’orizzonte, la luce baluginava tra l’oscurità dell’acqua creando ombre, e disse «Io vengo da là». Ricominciò a nuotare ma Lamantina non si mosse, in preda ad un improvviso terrore, poi si girò e fuggì ma non riuscì a fare che pochi metri. Sentì due braccia forti stringerla. Il cuore le batteva all’impazzata e cercò di divincolarsi ma non vi riuscì.
D’improvviso in lei crebbe una paura mai provata prima di allora. Una sensazione che le mozzò il respiro a metà e la bloccò. Non aveva provato un tale smarrimento nemmeno quelle volte che, durante le esplorazioni ai confini del loro territorio, si era imbattuta nei grandi pesci della zona sud, che potevano divorare quelli come lei senza fatica. 
Horkan era molto forte e la tratteneva senza sforzo. Lamantina lanciò un grido, sperando che qualcuno arrivasse a salvarla ma fu sfortunata. Intorno a loro si estendeva un deserto color blue acceso.
«Stai tranquilla», mugolò quello e disse qualcosa che poteva suonare come «Non voglio farti del male. Mi piaci» e la lasciò andare. Lamantina era ora terrorizzata, lui la fissava con quei suoi occhi neri freddi, senza apparente espressione. Una cosa che conferiva un che crudele a tutto il suo aspetto. Con goffi tentativi sembrava cercare di farle capire che non voleva farle del male.
«Sei bella», disse ancora in quel suo modo profondo e sgraziato, cercò di farsi vicino ma lei lo tenne lontano, sempre più impaurita. Lui parlò ancora, sebbene fosse chiaro che non fosse abituato ad utilizzare la voce come mezzo di comunicazione. Le ripeté il complimento e a quel punto lei si voltò e nuotò via, lasciandolo da solo.
Horkan le andò dietro ma Lamantina si nascose dentro una grotta seminandolo. Quando fu certa che si fosse allontanato abbastanza, uscì dal suo nascondiglio e nuotò verso un posto sicuro, dove lo strano personaggio non potesse raggiungerla.
Non le ci volle molto per arrivare allo scoglio dove alcuni suoi amici stavano godendosi il sole. La salutarono con grida e richiami, lei si arrampicò sulla roccia, raggiungendoli.
Non parlò a nessuno di loro del suo incontro, si sarebbe scatenata la follia se si fosse venuto a sapere che esisteva un’altra popolazione di gente come loro ma con caratteristiche analoghe a quelle del grande Predatore Azzurro: gli occhi, la forma della coda, i denti affilati.
Durante il suo intermezzo con questo Horkan, Lamantina aveva potuto notare i denti affilati e la sua possanza fisica, osservando ora i suoi amici maschi la superiorità fisica dello sconosciuto era palese. In un eventuale confronto era chiaro chi avrebbe avuto la meglio.
La giovane donna si disse che avrebbe taciuto dell’incontro con gli amici ma avrebbe parlato con suo padre, perché a sua volta riferisse agli gli Anziani quello che le era accaduto. Deciso questo Lamantina si unì all’allegra conversazione e si dimenticò per un po’ di Horkan e della minaccia che poteva rappresentare per la loro sicurezza.
La sua amica Ellaria ruppe quell’atmosfera gioiosa lanciando un urlo e indicando un punto non troppo distante da loro. «Guardate, un Predatore Azzurro».
Lamantina e gli altri allungarono lo sguardo, facendosi schermo con le mani, e scorsero una pinna triangolare spuntare dalle onde. Riparandosi con la mano osservò il gigante del mare muoversi nella loro direzione. «É troppo piccola per essere quella di un Predatore Azzurro. Sarà di un qualche pesce che se ne va a zonzo per queste acque. Non abbiamo di che preoccuparci», disse con competenza Lashin, sdraiandosi di nuovo. «Secondo me è un cucciolo. E dove c’è un cucciolo ci sarà sicuramente la madre e non sarà lontana. Meglio scappare adesso che è ancora lontano e cercare un posto dove nasconderci», aggiunse Ellaria, con voce tremante. Lamantina scosse la testa, prima che i piccoli fossero svezzati era raro che una femmina transitasse per quelle aree, che pullulavano di pesci abbastanza grossi da mangiarsi anche un piccolo di Predatore Azzurro ed affrontare poi una madre inferocita. «Non è stagione, la maggior parte di quelli nati lo scorso anno adesso sono cresciuti. In questo periodo dell’anno poi nuotano verso zone più fredde, qui è troppo caldo per loro. E come ha detto Lashin, la pinna è troppo piccola per essere uno di loro», disse Lamantina, cercando di apparire tranquilla.
La grossa pinna continuava la sua corsa verso il loro angolino di terra e si fermò a pochi centimetri dalla roccia. Una testa dai capelli bianchi emerse dall’acqua. Horkan sorrise a Lamantina, la chiostra di denti brillò al sole. «Lamantina», gracidò il suo nome. Senza attendere una reazione da lei si arrampicò sullo scoglio e la raggiunse.
Lashin, Ellaria e gli altri del gruppo guardarono la scena senza capire. Lamantina non seppe altro che presentare il visitatore. «Horkan». Poi si tacque.
Quello si voltò e salutò, mettendo di nuovo in mostra la sua dentatura. «Almeno non è un Predatore Azzurro». sospirò Ellaria. «Infatti sembra un incrocio tra uno di noi e uno di loro. Osserva la sua coda. É identica a quella di uno di quei mostri», le rispose Kunn, sarcastico. Horkan non badava alle loro chiacchiere, troppo intento a cercare di comunicare con Lamantina.
«Ti ho cercata dovunque, sono tornato indietro», cominciò a dire quello, la voce era uno stridio cupo per le orecchie delicate della ragazza e dei suoi amici. «Cosa vuoi da me? Perché continui a seguirmi?», domandò Lamantina, spazientita, cercando di allontanarsi da lui.
«Sei bella», rispose Horkan. La sua voce gutturale aveva un sottofondo di imbarazzo poi aggiunse, «Sei la prima che vedo simile a me». A quella confessione Lamantina e i suoi amici lo osservavano perplessi. Lui proseguì: «Dove vivo io, sono l’unico così», si indicò e si toccò i capelli. «Da dove provieni?», chiese Lashin, più incuriosito che spaventato dallo strano essere. Horkan indicò oltre le loro spalle, verso la barriera rocciosa che delimitava i loro territori. Secondo quanto stava dicendo proveniva da una delle zone più pericolose di tutto l’oceano, dove si potevano incontrare i più temibili predatori. «Forse dovremmo portarlo dagli Anziani», propose Lamantina. «Sicuramente loro sanno cosa fare». «Se l’avessero seguito?», chiosò Ellaria, ormai in preda al panico e desiderosa solo di andarsene. I suoi genitori erano stati uccisi da un Predatore Azzurro quando era piccola e da allora viveva nel terrore di trovarsi faccia a faccia con uno di questi mostri. Lashin era sempre più incuriosito dallo strano tizio. La sua coda era molto simile a quella di un predatore azzurro, ma per il resto era del tutto identico a loro. «Lamantina ha ragione, portiamolo con noi e cerchiamo di chiarire questa strana faccenda».
Horkan cercava di seguire la conversazione muovendo la testa da un viso all’altro. Lashin, Ellaria e gli altri si tuffarono in acqua e lo invitarono a seguirli.
Nuotarono per un po’ appena sotto la superficie, fino a che giunsero ad un’insenatura sottomarina. Si inabissarono e nuotarono per qualche metro, quindi si infilarono in un tunnel e, dopo quella che ad Horkan sembrò un’eternità, uscirono in una grotta. Era fresco e l’acqua limpida, nonostante intorno non vi fosse alcun tipo di luce naturale. Horkan notò delle piante, simili ai coralli, che emettevano una rifrazione luminescente.
Il gruppo si inoltrò ancora, fino a giungere in una piazza circolare. Durante il percorso Horkan scorse parecchie persone, che li osservavano incuriositi. Soprattutto dalla sua presenza.
Lamantina andò avanti e tornò quasi subito, seguita da un uomo barbuto. Indicò Horkan e la sua espressione mutò. Le sue labbra erano ferme ma sembrava impegnata in una conversazione con il nuovo venuto. Avrebbe voluto dire qualcosa ma il suo cervello sembrava essersi perso tutti i pensieri. Gli capitava spesso, dato che passava tutto il suo tempo da solo a nuotare entro i territori del branco che l’aveva allevato e a malapena sapeva esprimersi. . In certi momenti si era nascosto e parlava da solo, per non perdere l’abitudine ad utilizzare la voce e non i ringhi gutturali con cui si esprimevano i grossi pesci con cui viveva da quando era piccolo. Ogni giorno che passava diventava sempre più difficile pronunciare le parole e collegare il significato a qualcosa di reale. All’interno del suo clan qualcuno capiva il linguaggio parlato ma nessuno aveva la sua capacità di articolare i suoni in quel modo. Appena era diventato abbastanza forte aveva cominciato ad esplorare quelle aree, sperando di incontrare qualcuno. Nei suoi giri si era spinto sempre più verso il limite del territorio che chiamava casa, senza mai trovare il coraggio per lasciarselo alle spalle. Quella mattina, come al solito, si trovava su una roccia ad osservare il resto dell’immenso oceano. Era sul punto di tornare indietro quando aveva scorto Lamantina nuotare e la visione di lei aveva fatto scattare qualcosa nella sua testa. Aveva preso coraggio e aveva abbandonato la sicurezza dei lidi per avventurarsi oltre la barriera rossa. Aveva nuotato verso di lei, fino a che non era stato abbastanza vicino per parlarle. Aveva pensato che avrebbe potuto fargli compagnia e ora si trovava in un posto dove c’erano tanti simili a lui, fatta eccezione per la forma della pinna caudale.
Numerose persone si erano accalcate intorno ai giovani e guardavano il visitatore con un misto di curiosità e timore. Due ali di folla si formarono e Horkan poté vedere quattro vecchi uomini venire verso di loro. Muovevano lentamente le loro code e avevano espressioni serie sui visi pallidi e rugosi. Lamantina si fece da parte, lasciando che fosse l’uomo con la barba a rivolgersi ai nuovi venuti. Quelli ascoltarono il racconto lanciandogli occhiate penetranti. Horkan sorrise, mostrando i denti appuntiti. Si sentiva a disagio e voleva solo capire cosa stesse succedendo. Avrebbe voluto chiedere a Lamantina chi fossero quelle persone ma lei era troppo distante e nessuno dei nuovi amici era comunque abbastanza vicino da potergli parlare.
Quando il resoconto fu terminato uno dei vecchi si fece avanti e raggiunse Horkan. «Tu sei quello che proviene dai confini estremi, dai territori dove nuotano i Predatori Azzurri. Assomigli ad uno di loro ma anche ad uno di noi. Potresti essere un pericolo per noi ma non lo sapremo fino a che non ci dirai tutto». Lo invitò a parlare e Horkan gli disse ciò che sapeva.
«Mi ha cresciuto un clan di lodon, che vive dove c’è la barriera rossa. Non so come sono arrivato là o quando, ma ero molto piccolo. Alcuni di loro capiscono questa lingua ma non la parlano». Horkan tacque. Non sapeva nulla di sé o di chi fossero i suoi genitori.
L’anziano lo osservò con severità. Intorno a loro tutti stavano in silenzio, il mistero dell’arrivo del misterioso visitatore si infittiva.
All’improvviso un’anziana si fece largo tra l’assiepamento di gente e nuotò verso Horkan. Aveva lunghi capelli bianchi e una coda rosata. Di slancio si proiettò verso il giovane e lo abbracciò, di fronte alla perplessità generale. Quella vecchia era considerata un po’ fuori di testa, da anni girovagava per la loro regione straparlando di un rapimento, di un’aggressione e di altre storie cui nessuno aveva mai dato credito. In quel momento, quando la donna abbracciò lo sconosciuto proveniente dalla zona oltre la barriera rossa, quelle affermazioni assunsero un altro significato.
Il saggio la invitò a lasciarlo e a spiegarsi, a sua volta. Quella, fissando i suoi occhi glauchi, in quelli del vecchio emise un lungo fischio. «Adesso, adesso che è comparso vuoi sapere tutto? Sono oltre due cicli che cerco di dirti cosa è successo e non hai mai voluto ascoltarmi ma mi hai fatto passare con tutti come se fossi una lunatica visionaria e mi hai isolato dalla comunità per tutti questi anni». 
L’anziano le fece cenno di tacere mentre gli altri cercavano di disperdere la folla, ma dato che nessuno sembrava avere intenzione di muoversi il saggio confabulò con gli altri per qualche minuto e invitarono Horkan, la vecchia, Lamantina e gli altri a seguirli all’interno dell’aula dove si riuniva il consiglio durante i momenti di crisi. Le porte furono chiuse e due guardie armate di lance furono poste di fronte alla porta.
Una volta all’interno gli anziani presero posto sui loro scranni e invitarono gli altri a prendere posto. «Ora, di grazia, Innora, vuoi raccontare quello che sai», disse uno di loro. Innora si riavviò i lunghi capelli e poi parlò di nuovo, con tono più pacato. «Oltre due cicli fa stavo tornando da uno dei campi di coltivazione, verso il lato ovest. Era il periodo in cui ci eravamo appena trasferiti dal sud in cerca di un posto sicuro da cui sfuggire ai predatori. Se ti ricordi, erano appena nati i miei gemelli e uno di loro mi fu portato via mentre ero appunto al campo per svolgere i miei compiti. Lui è quello che è stato rapito. L’ho cercato, trascurando i miei doveri. Ho cercato aiuto ma voi avete negato ciò che cercavo di mostrarvi. Forse ora lui ci potrà dire chi è che l’ha allevato dopo averlo portato via da me e da suo fratello».
Tutti si volsero a guardare Horkan, che si era messo in disparte e aveva ascoltato quel breve racconto. L’anziano sgranò i vecchi occhi. «Avanti ragazzo, tocca a te raccontare». Horkan scosse il capo e si ritrasse con un energico colpo di coda. Non sapeva cosa dire e aveva paura di non riuscire a farsi capire, la sua capacità espressiva era limitata.
Lamatina si fece avanti e gli si avvicinò. A bassa voce gli parlò e poi si volse agli altri, «Lui dirà a me e io riferirò a voi. Non è abituato a parlare e fa fatica ad esprimersi ma io e lui sappiamo capirci». Horkan si sentiva sempre più imbarazzato e cominciava a pentirsi di essersi avvicinato a Lamantina.
La ragazza si volse verso di lui e gli fece cenno di parlare. Nell’orecchio Horkan le mormorò qualcosa, lei assentì e tornò a rivolgersi ai presenti. «Ricorda molto poco, sa di aver vissuto sempre e solo entro i territori della Barriera Rossa e dei Lidi terrestri». Horkan ancora disse qualcosa e Lamantina ripeté. «Ha vissuto con un branco di lodon fin da quando è arrivato in quelle aree. Ha imparato la lingua di quegli esseri ma allo stesso tempo ha sviluppato da solo la capacità di esprimersi con il nostro stesso tipo di linguaggio».
Ancora una volta parlottarono e di nuovo ci fu un resoconto per i presenti, Innora era sempre più sconvolta e tremava per l’emozione nell’udire ciò che il giovane aveva passato in tutti quei cicli. «I lodon lo chiamarono Horkan, che nel loro linguaggio significa “Dalla coda bianca e scura”, per via del colore. I lodon lo hanno sempre trattato bene pur considerandolo un membro debole del loro clan, dato che non è effettivamente un predatore azzurro. Ha passato molto tempo da solo, proprio per questa sua diversità e oggi, mentre si faceva un giro ha intravisto me e...il resto lo sapete».
Lamantina tornò dai suoi amici e attese il verdetto. Innora era ormai prossima alle lacrime e gli Anziani si ritirarono in un angolo per discutere tra di loro. La loro comunità era piccola e indifesa, vivevano in quelle caverne per potersi difendere dai predatori marini che si aggiravano in quelle zone e non erano portati ad accogliere stranieri. «Questo è un caso diverso da quelli del passato - disse, a bassa voce, il più anziano tra loro -. É l’unico superstite dei due figli di Innora» ma gli altri scossero il capo: Innora era sempre stata considerata strana, da quando aveva accettato di dare ospitalità nella sua casa ad uno sconosciuto e con lui aveva generato ben due figli. Era andata avanti quando lui se ne era andato, probabilmente portandosi via quello che ora avevano davanti e uccidendo l’altro, devastando la sua casa e lasciandola in preda alla follia. Così avevano cercato di convincerla riguardo al “rapimento” di cui lei parlava sempre. 
Confabularono ancora per qualche minuto quindi tornarono dagli altri. Dalla severità delle loro espressioni si capiva che le notizie non erano buone. Guardarono gli occhi neri senza pupille di Horkan e quelli di Innora e pronunciarono la sentenza. «Straniero chiamato Horkan, dopo aver sentito la tua storia e a causa di essa non possiamo accettare la tua presenza entro i confini di questo luogo, che ci offre riparo e sicurezza dai predatori azzurri e non solo. Dobbiamo garantire la protezione di tutti coloro che vivono qui. Se tu rimanessi, senza dubbio i lodon verrebbero a cercarti e non ci metterebbero molto tempo a trovarti e a scoprire questo rifugio».
A quelle parole Innora diede in un urlo e cominciò a ripetere «No. No. No. No», Lamantina e i suoi amici sbiancarono di fronte alla crudeltà dimostrata dagli anziani. Come potevano essere così sicuri che i lodon sarebbero venuti a cercarlo. 
Horkan ascoltò il verdetto mentre un’espressione cupa gli si dipingeva sul viso me non disse niente. Di nuovo i pensieri erano spariti dalla sua testa, ma questa non per l’emozione ma per la rabbia. Aveva trovato qualcuno simile a lui e questi lo mandavano via, come se fosse colpa sua l’essere stato cresciuto dai lodon. «Voi l’avete portato qua e voi lo riporterete dove lo avete trovato poi tornerete qui e per un po’ scordatevi di uscire dal rifugio. É stato sconsiderato da parte vostra questo comportamento e meritate una punizione esemplare».
Lamantina cercò di protestare ma fu zittita dal vecchio con uno schiaffo. «Così è», disse nuotando fuori dalla stanza seguito dagli altri.
Gli amici della ragazza si fecero intorno a lei, Horkan restò in disparte. In viso un’espressione rabbuiata poi a sua volta nuotò via. Nella mente avevano cominciato a rifluire nuovi pensieri ed erano tutti tinti di nero e rosso.
L’uomo con la barba, che era il padre di Lamantina, abbracciò la figlia e cercò di consolarla. «Non capisco come si possa essere così crudeli», sospirò Innora tra le lacrime. «Che senso ha vivere in un luogo sicuro se dobbiamo vivere nella paura? In passato non erano così, c’era più libertà e nessuno, nemmeno gli Anziani, si sarebbe mai permesso di impedire a qualcuno di non poter lasciare questo luogo. Adesso invece...». 
Innora si guardò intorno e si rese conto che Horkan se ne era andato. «É andato via...andato via...via», aggiunse con un tremito nella voce. «Dobbiamo trovarlo», esclamò Lamantina.
Un senso di inquietudine animò i presenti: non sapevano come Horkan avrebbe potuto reagire nei confronti dei vecchi. Fecero per uscire quando Innora li fermò. «Devo dirvi una cosa importante riguardo mio figlio - la sua voce tremava -. Non ci avevo più pensato fino ad ora, quando mi sono accorta che se ne era andato. Il padre dei miei figli, voi non potete saperlo perché non eravate ancora nati, era uno straniero. Fisicamente sono molto simili e qui è il punto. Un giorno, poco prima che lui scomparisse, mi raccontò che aveva la capacità, maledizione furono le sue precise parole, di trasformarsi in un lodon. Mi disse questo e poco dopo io rimasi sola, a piangere colui che avevo amato con tutta me stessa, un bambino morto e a disperarmi per uno rapito. É stato terribile e a poco a poco sprofondai nella mia stessa disperazione».
Innora si portò le mani al petto e tacque, sollevò gli occhi verso Lamantina e i suoi amici e aggiunse: «Horkan potrebbe avere la stessa capacità di suo padre. Il mio amato mi aveva spiegato che questa trasformazione gli capitava nei momenti di profonda rabbia. Horkan potrebbe avere la medesima capacità e se così fosse, dovremmo trovarlo prima che possa succedere il peggio. Non è detto che accada, ma ritengo che sia plausibile che possa accadere». La voce di Innora era ormai un sussurro tremante.
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