martedì 3 gennaio 2012

CYAN

CYAN
La ragazza si stiracchiò urtando con un polso quello che sembrava essere un bordo metallico e sentendo la fastidiosa sensazione di qualcosa che le segava la pelle dei polsi. Sbadigliò mentre allungava prima la gamba destra poi la sinistra sentendo che il torpore del sonno lasciava il posto alla lucidità della veglia.
Fu proprio allungando le braccia che si accorse che quella che aveva creduto essere solo una sensazione era invece reale. Qualcosa la tratteneva per i polsi. Di scattò si voltò prima da un lato poi dall'altro e nell'innaturale luce che debolmente filtrava nella stanza vide che era legata con cinghie alle sbarre di un letto...che non era il suo nella sua camera nel suo appartamento. Sembrava un letto d'ospedale ma dove era? E perché l'avevano legata in quel modo? Aveva fatto qualcosa di così terribile e pericoloso da doverle immobilizzare i polsi? 
Non riusciva a ricordare niente della notte precedente o del giorno prima o della settimana antecedente. La sua mente era come bloccata, ogni ricordo era come scomparso dalla sua mente tranne che per alcuni sprazzi confusi che non riusciva a collocare in un contesto temporale ben preciso.
Se non altro, si rese conto sollevando stizzita i piedi, le gambe gliele avevano lasciate libere e poteva sistemarsi in una posizione meno scomoda.
Il suo stomaco brontolò. Ma che ore erano? E quanto aveva dormito? E cosa era successo la notte prima? Era uscita, e di questo ne era ben certa, con suoi amici per andare alla festa di inaugurazione di un nuovo locale. Ma che fine avevano fatto i suoi amici ora? Stavano bene? Erano anche loro rinchiusi e legati come lei? Una ridda di domande le si formulò nella testa mentre si sentiva prendere dal panico.
Perché era stata portata in quel posto? In quel mentre un refolo di vento gelido entrò dalla finestra accarezzandola ma lei non percepì particolarmente la sensazione di freddo come invece avrebbe dovuto avvenire dato che era nuda. Dove erano quindi i suoi vestiti?
Si levò quel tanto che i legacci le consentivano e si guardò intorno: una stanza spoglia dalle pareti grigio azzurre, oltre al letto unici altri arredamenti erano un tavolino e una sedia. Sembrava la camera di un ospedale o qualcosa del genere.
Provò a dar voce al vortice di pensieri ma le uscì dalla gola solo un sordo squittio.
Dall'esterno udiva solamente il sibilo del vento e da oltre la porta nessun rumore, chiuse gli occhi cercando di far chiarezza tra i suoi pensieri per venire a capo di quel mistero.
Punto primo, era uscita insieme ai soliti amici per andare ad una festa in un nuovo club. Punto secondo, non ricordava altro. Né dove fosse il locale, né se ci fossero arrivati, niente...tabula rasa. L'unica cosa che le restava addosso era la sensazione che niente, quella sera, fosse andato come si era aspettata.
Si leccò istintivamente le labbra sentendole secche e screpolate sotto la lingua. Aveva molta sete e anche fame. Da quanto era in quel posto. Da più di un giorno? Chi ce l'aveva portata e perché e dove erano i suoi amici? Erano anche loro stati rinchiusi in quel posto?
Tentò di nuovo di parlare e ancora non uscì dalla sua bocca un suono articolato. Cominciò ad avere paura. "Non devi aver paura, qui nessuno ti farà del male se ovviamente tu non lo desideri". Sbatté gli occhi al suono metallico e anonimo della voce, che proveniva dalla figura femminile ritta sulla soglia. Allora in quel posto qualcuno c'era! Per un lungo momento aveva temuto di esser la sola là dentro.
Dal corridoio, dietro la donna, udiva provenire serie ininterrotte di lamenti e scorgeva persone che si muovevano. Alcuni sembrava camminassero a passo deciso e svelto altri a fatica, strascicando i piedi.
La ragazza trattenne un respiro quando la porta, d’improvviso, si aprì. Senza emettere alcun cigolio. Nella stanza entrò una donna: alta e abbigliata di nero si confondeva nell’oscurità circostante. Raggiunse con pochi passi il capezzale della giovane e si concesse un sorriso osservandola. Era chiaro che i suoi informatori non si erano sbagliati.
Prima che lei potesse in alcun modo emettere un suono, si chinò sul suo viso e si portò un indice alle labbra. Quella non poté far nulla per ritrarsi, immobilizzata come era e rimase distesa sul letto, nuda, di fronte alla donna misteriosa.
«Brava, brava - esordì quella con voce seria e glaciale -. Hai dormito per tre giorni e cominciavo ad essere preoccupata. Il siero dormiente che ti abbiamo dato avrebbe dovuto farti restare incosciente solo per qualche ora. Ma ora che ti vedo dal vivo, posso capire il perché dell’effetto che ha avuto su di te: sei così minuta».
Tacque e lanciò un’occhiata ancora alla prigioniera. Avevamo impiegato mesi a rintracciarla e ora non se la sarebbe fatta scappare, per nulla al mondo.
Prese una sedia e si accomodò. «Se farai come ti dico - proseguì - entro breve sarai libera. Altrimenti resterai in nostra custodia per molti anni. Nessuno si accorgerà che sei sparita, uno spirito libero come te, sempre in movimento e senza alcun legame. I tuoi cosiddetti amici penseranno che tu abbia solo lasciato la città. Non ti verranno a cercare».
Cyan cercò di seguire il discorso ma le riusciva difficile: non aveva senso quello che la sconosciuta le stava dicendo. Avrebbe voluto replicare ma nuovamente le fu fatto cenno di non provare a parlare.
«Adesso ti libero, poi verrai con me in un posto. Devi avere pazienza ancora per poco e poi sarai libera di tornartene alla tua vita». Concluse la donna, poi si alzò e si fece vicino, le slegò i polsi. Cyan rimase immobile, aspettando un cenno dalla donna, ma quella non le disse nulla. Si spostò fino all’armadio e l’aprì. Ne tirò fuori una vestaglia grigio chiaro, che porse poi alla ragazza, aiutandola anche ad indossarla: tre giorni con i polsi legati avevano irrigidito i muscoli delle spalle, rendendo l’operazione difficoltosa.
Poi l’aiutò a mettersi in piedi, «Adesso andiamo». Le disse quando fu in piedi.
Uscirono e Cyan seguì la donna. Quando furono in corridoio, lei poté osservarla con più calma. Era una spilungona secca secca e di una certa età, indossava un abito scuro, formato da una giacca stretta dal collo alla finanziera, e da una gonna che arrivava fino al pavimento. Questo abbigliamento le conferiva un aspetto ancor più arcigno dell’espressione sul suo viso. La pelle era sottile e tirata, una raggiera di rughe copriva la zona tra gli zigomi e gli angoli della bocca, sottile e stirata in una in un sorriso severo. Cyan pensò che le ricordava il personaggio di un romanzo che aveva letto molti anni prima, nella casa famiglia dove aveva trascorso l’infanzia. Teneva le mani all’altezza della vita strette insieme, le braccia piegate quasi ad angolo retto seguivano la linea del corpo aderendovi. La schiena era dritta e nel complesso si muoveva in modo rigido.
La ragazza la seguì, il linoleum avrebbe dovuto essere freddo sotto i suoi piedi scalzi ma non sentiva nulla. La medesima sensazione, che l’aveva colta quando si era svegliata, la colse. Per non cedere al panico si concentrò sulle persone che attraversavano il corridoio. Intorno a lei si muovevano quelli che sembravano pazienti, forse era in un’ospedale. Forse era stata male ed era stata portata là per qualche esame, ma se era così, che bisogno c’era di tutta quella segretezza?
Mentre si faceva tutte quelle domande notò qualcosa di strano. Gli uomini e le donne che le passavano vicino, avanti e indietro lungo il passaggio illuminato al neon, sembravano morti riportati in vita. Roba da film horror di serie b.
I visi erano smorti, con la pelle bluastra agli angoli della bocca e profonde occhiaie nere intorno agli occhi, resi opachi da velature biancastre. Sembrava impossibile che riuscissero ancora a vedere qualcosa.
Le labbra erano secche e screpolate, da alcune delle ferite fuoriusciva quello che sembrava del muco verdastro mischiato a sangue scuro, che colava sui camicioni che indossavano. Ai piedi avevano delle pantofole di panno grezzo, che non producevano alcun rumore venendo strascicate sul pavimento. In quel posto non si sentiva nulla, l’atmosfera era ovattata e irreale.
Camminarono per non più di dieci minuti, in silenzio. Incredibilmente quegli zombie riuscivano ad evitarle mentre girovagavano senza meta.
Cyan per un secondo pensò che forse era impazzita e ora si trovava in manicomio, ma le sembrava di essere lucida e di avere le idee chiare. Soprattutto voleva andarsene il prima possibile.
«Eccoci», la donna le indicò una porta, di metallo pesante, poi spinse alcuni pulsanti, situati dove avrebbe dovuto esserci la serratura, appena sotto la maniglia. Con un click, che rimbombò in mezzo a quella bolla silenziosa, la porta scattò e si schiuse di pochi centimetri. La donna la tirò verso di sé e fece un cenno a Cyan di entrare nel corridoio buio. La ragazza non se lo fece ripetere e varcò la soglia. Una luce al neon tremolò e si accese. Man mano che procedevano le luci si accendevano, spegnendosi alle loro spalle.

Procedevano in quelle pozze di luce tremula, il corridoio sembrava infinito fino a che, dopo forse una passeggiata di un quarto d’ora, si ritrovarono davanti ad una seconda porta, anche questa con un tastierino numerico di sicurezza al posto della serratura.

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