HALLOWEEN FRIGHT NIGHT!
«Sun goes down, behind those dark hills. Moon shines in the starred dark sky. Dead People is ndering in the streets. Rise the night, just after sunset. Beware who might you meet».
Jeremy emise uno sbuffo: essere malato ad Halloween. Non poteva esserci sfortuna peggiore, per lo meno se anche voi foste stati un bambino di dieci anni. Guardò fuori dalla finestra, notando come il giorno avesse ormai lasciato il posto alla sera, quindi al divertimento. Da dieci giorni ormai era inchiodato a letto, a causa di una brutta influenza e sperava di essere sulla via della guarigione ma il medico, passato poche ore prima per un controllo, era stato perentorio: impensabile uscire per fare il giro del vicinato bussando di porta in porta invocando «dolcetto o scherzetto».
«Ti rifarai il prossimo anno, caro», gli aveva detto la mamma passandogli amorevolmente una mano sulla fronte, sentendola scottare. Di contro Jeremy aveva sbuffato e poi fatto gli occhi dolci, aveva implorato, inveito. Senza successo.
Sua madre voleva ignorare il fatto che lui si stava perdendo quell'evento e che, nei giorni seguenti, sarebbe stato escluso da tutti i racconti - interessantissimi - su quella sera.
Tossì, emettendo un rumore cavernoso e rauco, sentendo un dolore acuto raschiare la cavità della gola. Sua madre, senza scomporsi, gli preparò lo sciroppo e glielo porse quindi gli infilò sotto l'ascella il termometro. Jeremy rabbrividì al contatto del vetro freddo con la pelle accaldata dalla febbre. Dopo un tempo che gli sembrò interminabile poté passarlo alla genitrice che ne lesse il risultato: 39. Quelle due cifrette al ragazzino suonarono al pari di una sentenza di morte e la notizia lo spossò ancor più di quello che già non fosse per la malattia.
«Cerca di riposare», gli disse la mamma uscendo, Jeremy riuscì a malapena ad annuire, sprofondando sotto il piumone, al caldo.
La donna scesa al piano inferiore e si sedette sul divano, riprendendo la lettura, interrotta dall'arrivo del medico. L'orologio a cucù, ereditato da una vecchia zia, rintoccò le sei. Il campanello gli fece eco pochi secondi dopo. Stupefatta la donna andò alla porta, era un fatto strano dato che i bambini arrivavano sempre sul tardi essendo la casa una delle ultime della via.
«Buonasera ragazzi», disse al gruppetto di amici di suo figlio che le si presentarono davanti: ognuno di loro indossava un costume ma dietro le maschere i visetti avevano espressioni decisamente imbarazzate. Jillian si aspettava la frase di rito ma al contrario quelli balbettarono qualche parola, farfugliando. Alla fine fu Sarah, una ragazzina magra travestita da gatto con tanto di orecchie e coda, a prendere la parola. «Scusi il disturbo, siamo passati a salutare Jeremy. Possiamo vederlo?».
La donna la fissò poi spostò lo sguardo indagatore sugli altri, infine su un punto imprecisato in cima alle scale: suo figlio stava riposando ma non se la sentiva di negare quell'incontro. «Andiamo, ma fare piano. Forse Jeremy sta dormendo. Aveva ancora la febbre alta quando gliel'ho provata poco fa».
Li precedette, fino alla camera di Jeremy e bussò: «Caro? Ci sono i tuoi amici, sono passati a trovarti...Sei sveglio?» Dall'interno nessuna risposta e sul viso dei bimbi la donna scorse un'espressione di delusione. «Sono davvero dispiaciuta...Venite di sotto, vi do qualche dolcetto».
A ciascuno diede una bella manciata di caramelle e cioccolatini, magra consolazione per loro che speravano di salutare il loro amico. Li riaccompagnò all'ingresso e li osservò mentre si allontanavano nel crepuscolo: la loro meta era la casa della signora Evernine. Jillia si domandò se non dovesse indirizzarli altrove: fin da quando lei una bambina, le era stato insegnato che quell'abitazione andava evitata durante il giro di Halloween dato che sulla donna che vi viveva erano sempre circolate numerose strane storie. Alla fine sorrise di sé, i ragazzini di ora non credevano alle vecchie superstizioni.
Rabbrividì e chiuse la porta, dal piano di sopra non proveniva alcun suono: Jeremy doveva essersi addormentato. Sperò che quella brutta influenza passasse in fretta e senza complicazioni. Stringendosi lo scialle intorno alle spalle andò in cucina e si preparò una tisana quindi si mise a sua volta sotto le coperte concentrandosi sullo zapping ma la stanchezza prese il sopravvento e dopo pochi minuti si appisolò. Fu a causa della spossatezza che l'aveva avvolta, il rilassamento per il tepore del letto o semplice distrazione che il suo cervello non registrò che i bambini che si erano lasciati alle spalle la sua casa priva di decorazioni non erano cinque ma sei e di questi uno aveva avuto il colpo di genio di vestirsi da malato, con tanto di pigiama e vestaglia.
«Almeno potevi ricordarti di metterti le ciabatte», Kevin apostrofò Jeremy fissandogli le calze di spugna, la cui parte inferiore era ora diventata grigia scura. Senza dubbio ora della fine della serata sarebbe stata nera. L'amico stava per rispondergli a tono ma invece gli uscì un secco colpo di tosse. «Forse non è stata una grande idea, J», commentò Sarah guardandolo e mettendogli una mano sulla fronte, nello stesso modo di sua madre. Jeremy si ritrasse, avevano la stessa età ma alle volte lei se ne usciva con frasi da adulta. Jeremy spallucciò e Robbie diede voce ai pensieri di tutti. «Sarah non potevamo permettersi che si perdesse il giro di Halloween. Non sarebbe stato lo stesso, lo sai bene anche tu»...Evan ed Harry gli fecero eco emettendo un ululato.
Sarah alzò le braccia in segno di resa. «Avete ragione, però faremo un giro più corto in modo che ritorni prima di cena e sua madre non riesca ad accorgersi che è uscito». Il tono di adulta fu accolto da un coro di «booo».
Il gruppetto si fermò, erano arrivati davanti alla veranda della signora Evernine. Robbie si spostò, ghignando, e si inchinò a Sarah «Prima le signore». Gli altri pappagallarono la frase e la bambina, sentendosi punta nell'orgoglio, si mosse verso i gradini ripetendosi che si trattava solo di una vecchia signora eccentrica.
Bussò, una, due, tre volte e fece un cenno ai suoi compagni di avvicinarsi. Si ritrovarono di fronte all'uscio serrato, in attesa.
Infine la porta cigolò, si aprì uno spiraglio e un viso rugoso comparve nello spazio. Sul naso adunco erano poggiati un paio di occhiali dalla sottile montatura dorata. Sarah singhiozzò per lo stupore ed emise un versetto, che nelle sue intenzioni doveva essere un saluto, cui fece seguire un sorriso.
L'anziana li fissò con curiosità e solo dopo un certo tempo realizzò la ragione per cui si trovavano sulla sua proprietà e perché l'avessero disturbata.
«Mi dispiace miei cari» - parlava piano, strascicando le parole - «Non ho niente da darvi. É tanto tempo che non celebro questa serata. Se foste bambini saggi lo fareste anche voi, è tardi e dovreste essere a letto da un pezzo a sognare gli angioletti, invece di andare in giro per le strade dopo il tramonto. Non si sa mai chi si può incontrare...».
E chiuse la porta senza aggiungere altro.
Mestamente i sei se ne andarono, ogni traccia di divertimento era scomparsa ma nonostante tutto riuscirono a mettere insieme un discreto bottino e decisero che era meglio accompagnare a casa Jeremy.
Fu allora che si accorsero di essere soli in strada e che tutte le case erano buie, come se fossero disabitate. «Ma cosa è successo? Dove siamo finiti?», chiese Jeremy guardandosi intorno senza riconoscere nulla di quel luogo freddo e oscuro.
Scorsero un gruppetto di ragazzi, che se ne stavano seduti in cerchio nei pressi di un'abitazione abbandonata e si passavano una bottiglia, bevendo a turno e ridendo sguaiatamente. Guidati da Kevin li raggiunsero e notarono che, pur essendo di poco più grandi di loro, erano completamente ubriachi. Evan si fece avanti e domandò se sapevano dove fossero e se conoscevano un modo per raggiungere la via...quasi venne loro un colpo quando uno di quelli rispose che erano proprio dove volevano andare e indicò una casa oscura e priva di abitanti.
«Il bambino che viveva là insieme ad alcuni suoi amici sono scomparsi qualche anno fa, in una notta di Halloween. La madre è impazzita e hanno dovuto rinchiuderla in qualche manicomio, le altre famiglie non hanno resistito e se ne sono andati quando è stato chiaro che non sarebbero stati ritrovati vivi. Adesso qui ci siamo solo noi». Sarah strinse gli occhi e urlò «Bugiardo! Non è vero! Noi non siamo scomparsi!! Siamo qui, non vedi? Ci stai parlando!! Non siamo scomparsi!! Abbiamo appena finito il nostro giro, come tutti gli anni. Non è come dici tu, non è come dici tu, non è come dici tu».
Un altro, dai denti marci, rise. «Invece è andata esattamente come ha detto lui». Indicò un foglio rovinato dalle intemperie, i loro nomi si intravedevano ancora e una parte dell'accorato appello dei loro genitori.
«Limbo, Inferno, nulla: decidi tu quello che è ma qui siete e qui resterete. La vostra è stata una morte violenta e dato che questa era la zona dove vivevate e dove si è consumata la vostra fine, qui siete confinati. Io mi sono schiantato contro quell'albero e anche i miei amici hanno avuto una sorte simile. Ad Ognissanti ci è permesso tornare qui e festeggiare...Abituatevi. Funziona così, per il resto del tempo sarete solo spiriti inquieti confinati nel silenzio delle dimore dove abitavate da vivi». Rise e prese un lungo sorso dalla bottiglia.
Era la vigilia di Ognissanti, il quartiere si stava riprendendo dalla morte dei sei bambini: l'assassino non era stato ritrovato e le speranze erano ormai ridotte al lumicino. Il crepuscolo si era già trasformato in notte e la signora Evernine posò il vecchio libro di cucina, ereditato da sua madre, e lanciò un'occhiata all'orologio appoggiato sopra il camino: era ora di pensare alla cena. Faticosamente si alzò dalla poltrona e si diresse in cucina.
«Stasera mi andrebbe della cervella impanata, accompagnata da del delizioso purée. Ormai i miei denti non sono più quelli di una volta», si disse l'anziana mentre dal grande frezeer, che occupava la parete in fondo alla stanza, estraeva un grosso sacchetto, dalla forma di una palla. Portò il suo carico fino al piano di lavoro e cominciò ad aprirlo, rivelando al suo interno una testa umana. Sulla sommità del capo spuntavano delle strane orecchie da gatto di finta pelliccia.
Riservò alla testolina un'occhiata comprensiva e da un cassetto recuperò gli strumenti adatti per aprire il cranio.
«Mia piccola cara, ve l'avevo detto che non si sa mai chi si possa incontrare la notte di Halloween. Devo ammettere che non è stato un male che vi siate presentati alla mia porta...siete dei buoni bambini».
Rise, da sola, nella grande cucina portando alla bocca e succhiandolo come un ghiacciolo un pezzo del cervello di Sarah, quasi undici anni e fino a due anni prima residente in quella via di periferia.
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